L'ARENA Lunedì
18 Febbraio 2002
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L’Aja, riprende
il processo
Gli inutili
contrattacchi di Milosevic
di Alberto Pasolini Zanelli
La prima a rischiare il ko sul ring
del processo a Milosevic, che ricomincia oggi all’Aja, è stata la
televisione. Per la precisione la Cnn che per ben due volte ha dovuto rabberciare
i suoi progetti inserendo pause pubblicitarie nei momenti «strategici».
La prima è stata quando Milosevic, che è accusato di crimini
di guerra e contro l’u manità (di cui l’accusa ha presentato agghiaccianti
documentazioni fotografiche) , ha preso a far scorrere a sua volta sullo
schermo le immagini delle distruzioni e delle vittime dei bombardamenti
alleati. La seconda è stata quando il medesimo
imputato ha recitato la lista dei testimoni che si riserva di convocare
a sua discolpa, e l’ha aperta con Bill Clinton e Madeleine Albright, rispettivamente
ex presidente degli Stati Uniti ed ex segretario di Stato. Altri «consigli
per gli acquisti».
Le reti televisive, soprattutto se
americane, stanno attente a non fornire tribune ai «terroristi»
e ad altri esponenti del Male. Soprattutto a Slobodan Milosevic, che non
solo ha più frecce al suo arco come argomenti ma che si è
anche rivelato un maestro della scena giudiziaria. E nella gabbia degli
imputati, sotto almeno dieci capi d’accusa (e le prove contro di lui sono
vivide), ha detto che comunque la sentenza è già scritta
e pochi gli danno torto in questo. Eppure attacca, contrattacca, colpisce
e in più di un caso lascia il segno. Con la
sua vecchia furberia si sforza di catturare almeno in parte le emozioni
dell’opinione pubblica mondiale contro il terrorismo e afferma di non aver
fatto niente altro che combatterlo nel Kosovo, cioè in casa sua.
«Se gli americani inseguono i terroristi fino in capo al mondo, non
vedo perchè io, allora capo dello Stato jugoslavo, non avrei dovuto
prendere misure contro i criminali che agivano in una provincia del mio
Paese». Parole che contengono evidenti distorsioni fra le proporzioni
dell’attacco subito e quelle della rappresaglia ma che in sé, come
principio, non differiscono, per esempio, dall’argomento con cui il premier
israeliano Sharon ha zittito le critiche americane per le sue rappresaglie
in Palestina.
L’ex leader serbo
cerca anche di avvantaggiarsi della comune cultura islamica fra i kosovari,
soprattutto gli estremisti dell’ Uck e i terroristi di Al Qaida , che fra
l’altro disponeva di cellule nell’ex Jugoslavia. Ma la forza di
Milosevic come avvocato di se stesso nasce soprattutto dalla sua situazione
disperata come imputato, davanti a una Corte messa in piedi praticamente
apposta per lui e a un accusatore-inquisitore che ne chiede da anni la
distruzione, in pubblico e in privato. Milosevic si è preso più
volte gioco del fervore di Carla Del Ponte e delle gaffe che ne derivano
e si è trasformato nel Pubblico ministero del Pubblico ministero.
La signora ha parlato di una «frontiera fra il Kosovo e la Serbia»,
mentre invece il Kosovo è anche oggi formalmente una provincia della
Serbia («Sarebbe come se io parlassi del confine
fra L’Aja e l’Olanda» ha commentato Slobo). Ha ironizzato
sui «dispetti» che la Del Ponte gli farebbe, fino a pronunciare
il suo cognome in modo deliberatamente sbagliato alla ricerca di assonanze
ridicole. Se l’aula del tribunale fosse un ring e vi valessero le regole
del pugilato, l’imputato sarebbe in questo momento avvantaggiato ai punti,
ma non lo è e sono proprio le definizioni che Milosevic ne dà
ad anticipare la certezza della sua condanna. Un tribunale ad hoc , la
costante storica dei verdetti emessi dai vincitori sui vinti che hanno
processato, la sua stessa estradizione concessa a malincuore dal primo
governo democratico a Belgrado in obbedienza ad un ultimatum americano
di natura finanziaria: molti giuristi, in America e in Europa, non hanno
un’opinione molto elevata di questo tipo di tribunali e diversi commentatori
politici deplorano le conseguenze che potrebbero derivarne. Li consola
la certezza dei crimini compiuti, soprattutto anche se non esclusivamente
dai serbi, sotto una urgenza psicologica deliberatamente provocata da Slobodan
Milosevic.