Avvenire 12/12/2001
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Esperti dell'area riuniti a Como spiegano le strategie di Stati Uniti, Russia e Iran: ora tutte le alleanze stanno cambiando
Il «grande gioco» alimentato dal petrolio

Gli interessi legati agli oleodotti muovono gli Stati intorno a Caspio e Caucaso

Maurizio Blondet
Nostro Inviato
 

Como. «Com'è che Washington ha dichiarato il Caspio, regione che sta dall'altra parte del mondo, zona di suo interesse nazionale? Che cosa accadrebbe se Mosca dichiarasse il Golfo del Messico zona d'interesse nazionale russo?». Andrei Zobov, del Centro Carnegie di Mosca, pone la domanda - adeguatamente provocatoria - al convegno indetto a Como (Villa Olmo) dal Landau Network sul tema: «Le vie del greggio e del gas dalla regione del Caspio e del Caucaso».
E la domanda dipinge bene la selva di sospetti, diffidenze e ambivalenze che ha suscitato la campagna Usa contro il terrorismo e l'attacco all'Afghanistan in quella zona del mondo. Perché nell'area dove l'America ha sferrato la sua ultima guerra morale, "Enduring freedom", c'è il petrolio. La causa prima di tutte le avidità e i sospetti. Capitali americani vogliono costruire un oleodotto da Baku (Azerbaigian) via Tbilisi (Georgia) a Ceyhan (sulla costa mediterranea della Turchia) per portare quel petrolio ai mercati mondiali. L'oleodotto è fatto apposta per tagliar fuori dal business la Russia e l'Iran.
«Il mar Caspio, nei cui fondali si estrae il greggio - spiega Mahmoud Reza Goshan-Pazooh, segretario del Teheran International Studies Institute -, è stato storicamente un pacifico condominio fra Urss e Iran. Caduta l'Unione Sovietica, troviamo ora attorno al Caspio cinque Stati, dall'Azerbaigian al Kazakhstan, dalla Georgia all'Armenia, che pretendono di dividere quel mare in cinque zone di sfruttamento. Per l'Iran, è inaccettabile. Inoltre, quegli Stati nuovi non hanno sbocco al mare, quindi dipendono da oleodotti transnazionali per esportare il loro greggio. L'Iran ha il diritto di beneficiare per la sua parte dei redditi di questo transito».
Ma tutti vogliono oleodotti americani, che significa investimento in dollari: dall'Azerbaigian (che recita la parte del filo-americano modello, ed è appoggiato dalla Turchia) all'Armenia, alla Georgia, alla stessa Russia. «Gli Stati del Caspio competono per gli investimenti in dollari - ironizza Justin Friedman, diplomatico del Dipartimento di Stato per l'area - e credono che non baderemo a spese. Ci attribuiscono un doppio disegno, lotta al terrorismo sì, ma anche la sfida dell'egemonia russa. Non è vero. Se pensiamo a oleodotti diversi da quelli russi, è perché la rete russa è un monopolio, e noi siamo contro i monopoli. Ma coi russi collaboriamo, ad esempio, alla costruzione dell'oleodotto CPC (dal Kazakhstan a Novorossiysk, in Russia). Se c'è un disegno americano nell'area, è creare un clima competitivo ed efficiente».
Ma non dev'essere proprio così. Brenda Shaffer, che dirige ad Harvard un Caspian Studies Program, ripete quel che ha scritto in una sua «raccomandazione» al presidente Bush: «Il greggio del Caspio è prezioso, non tanto per i volumi - le riserve sono più o meno quelle del Mare del Nord - ma perché i due Paesi che lo producono, Azerbaigian e Kazakhstan, non sono membri dell'Opec. La loro produzione indebolisce la capacità dell'Opec di manipolare i prezzi. E può compensare una caduta delle forniture saudite, in caso di instabilità in Arabia». L'Iran, in ogni caso, sarà tagliato fuori, par di capire.
Sullo sfondo c'è l'accusa americana alla Russia di fornire allo Stato degli ayatollah tecnologia nucleare, e di sostenere i terroristi fondamentalisti in Palestina. Fino a ieri, Teheran credeva di avere più o meno Mosca dalla sua parte contro i Paesi dell'area, satelliti degli interessi americani (Turchia, Kazakhstan, Azerbaigian); oggi, dopo l'inedita alleanza fra Putin e Bush, il politologo iraniano Golshan Pazooh ammette un senso di isolamento. «Voi americani avete sostenuto l'Iraq contro l'Iran, ed avete visto quel che vi ha fatto Saddam; avete dato mano libera ai taleban, perché anti-iraniani, e s'è visto com'è finita», dice il politologo di Teheran a Brenda Shaffer: «Quando ammetterete che la politica del "tutto quel che è contro l'Iran favorisce l'America" porta solo guai?». Ma miss Brenda è recisa: «Il vostro Paese smetta di aiutare i terroristi in Medio Oriente». Allora, lascia capire, si potrà parlare magari anche di oleodotti dal Caspio attraverso la Persia.
«Nell'area, Washington ha sempre avuto una strategia "di reazione"», ammette Paolo Cotta-Ramusino, che presiede e ospita il convegno di Como. Ed oggi? «Non sono sicuro abbiano davvero una strategia. Del resto questo incontro mostra come la situazione là sia fluida». E anche imprevedibile.
 
Maurizio Blondet
Nostro Inviato