IL Corriere della Sera 01/03/2002
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L’operazione per catturare il ricercato numero uno del Tribunale dell’Aja sarebbe stata condotta da teste di cuoio polacche

Bosnia, Karadzic sfugge al blitz della Nato

In azione elicotteri e armi pesanti. Ma nessuna traccia dell’ex leader serbo accusato di genocidio

DAL NOSTRO INVIATO
SARAJEVO - Sui muri i manifesti appiccicati prima dell'inizio del processo per crimini di guerra a Slobodan Milosevic sono ormai illeggibili o strappati. «Reward - 5 million dollars», proclamano gli annunci con un numero di telefono fatti stampare dal Dipartimento della giustizia americano. Ma anche la vistosa taglia di 5 milioni e 700 mila euro (pari a oltre undici miliardi delle vecchie lire) non è servita a nulla. Nessuno, fino a questo momento, si fa avanti per fornire reali informazioni che possano portare alla cattura di Radovan Karadzic e Ratko Mladic, i due capi della sanguinosa secessione scoppiata nell'aprile 1992, in seguito alla decisione presa dalla maggioranza musulmana di proclamare l'indipendenza della Bosnia, entrambi come Milosevic accusati di crimini di guerra.
Adesso, visti fallire gli allettamenti della delazione, la Nato tenta di trasformarsi in polizia internazionale. Agendo con un massiccio schieramento di truppe e di mezzi la Sfor, la forza di stabilizzazione dell'Alleanza che dopo la pace di Dayton garantisce alla Bosnia l'attuale malsicuro equilibrio, ha circondato il remoto villaggio di Celebici, a sud-est di Sarajevo, bloccando le strade e interrompendo le linee elettriche e telefoniche per un raggio di 40 chilometri nel tentativo di catturare Karadzic.
Ma l'operazione, condotta con l'appoggio di elicotteri, automezzi pesanti e reparti specializzati, che hanno isolato completamente la zona, non ha raggiunto lo scopo. Del rifugio di Karadzic, nonostante le insistenti segnalazioni, non sono state trovate tracce. Il solo risultato del blitz, nel quale le truppe hanno fatto irruzione in decine di alloggi demolendo con cariche esplosive numerose porte blindate, è stato il ritrovamento di un considerevole quantitativo di armi, fra le quali razzi anticarro, lanciagranate, munizioni da mortaio, mitragliatrici, mine antiuomo e proiettili di grande calibro da artiglieria.
«Le segnalazioni sulla presenza del ricercato Karadzic non hanno trovato conferma», ha ammesso un portavoce della forza internazionale leggendo una dichiarazione scritta. «Comunque - ha aggiunto - con questa operazione abbiamo mandato a Karadzic un messaggio ben chiaro, "siamo alle tue calcagna". Gli abbiamo fatto capire che siamo decisi a catturare, con la forza se sarà necessario, tutte le persone che sono ancora a piede libero e ricercate per crimini di guerra».
Il compito di arrestare Karadzic, secondo indiscrezioni, sarebbe stato affidato a un reparto di «teste di cuoio» polacco. «Se riesce», si sarebbe fatto sfuggire un comandante americano della Sfor, la forza di stabilizzazione della Nato dislocata in Bosnia, «il successo sarà nostro. Altrimenti vorrà dire che sui polacchi avremo un'altra barzelletta in più da raccontare».
Vero o apocrifo che sia, l'episodio riferito da un giornale a Banja Luka, la capitale della Republika Srpska che costituisce il «cantone serbo» nella Bosnia Erzegovina, oltre a dimostrare che il pregiudizio etnico non è prerogativa dei soli Balcani, sembra la conferma di quello che molti sospettavano da tempo: dagli Stati Uniti finora, al di là delle semplici frasi a effetto, la cattura di Karadzic e Mladic non è stata vista come una priorità. Sull'obiettivo di «polizia» che la Nato si vede ora affidare di nuovo, dopo che la comunità occidentale aveva coltivato a lungo la speranza di delegarlo a Belgrado e alle autorità serbo-bosniache, le prospettive comunque rimangono incerte.
Mentre la presenza di Karadzic, secondo un giornale serbo-bosniaco, era stata segnalata perfino nel monastero ortodosso di Vilus, per quanto riguarda Mladic, il tribunale internazionale dell'Aja è tassativo. «Sappiamo che si trova a Belgrado, con tanto di indirizzo preciso. E' chiaro che il presidente jugoslavo Kostunica si oppone al suo arresto», dichiara senza giri di parole la procuratrice Carla Del Ponte. Ma se questo è vero il problema, più che militare, è politico. Si spiega così la fiducia ostentata del fratello di Karadzic, Luka, che a poche ore dalla fallita cattura, in un'intervista alla radio «202» di Belgrado ha detto: «Mio fratello sta ottimamente, e la Nato se pensa di arrestarlo perde il suo tempo. Radovan non si farà mai prendere vivo».
 
Renzo Cianfanelli