L’operazione per catturare il ricercato numero uno del Tribunale dell’Aja sarebbe stata condotta da teste di cuoio polacche
Bosnia, Karadzic sfugge al blitz della Nato
In azione elicotteri e armi pesanti. Ma nessuna traccia dell’ex leader serbo accusato di genocidio
DAL NOSTRO INVIATO
SARAJEVO - Sui muri i manifesti appiccicati
prima dell'inizio del processo per crimini di guerra a Slobodan Milosevic
sono ormai illeggibili o strappati. «Reward
- 5 million dollars», proclamano gli annunci con un numero
di telefono fatti stampare dal Dipartimento della giustizia americano.
Ma anche la vistosa taglia di 5 milioni e 700 mila euro (pari a oltre undici
miliardi delle vecchie lire) non è servita a nulla. Nessuno, fino
a questo momento, si fa avanti per fornire reali informazioni che possano
portare alla cattura di Radovan Karadzic e Ratko Mladic, i due capi della
sanguinosa secessione scoppiata nell'aprile 1992, in seguito alla decisione
presa dalla maggioranza musulmana di proclamare l'indipendenza della Bosnia,
entrambi come Milosevic accusati di crimini di guerra.
Adesso, visti fallire gli allettamenti
della delazione, la Nato tenta di trasformarsi in polizia internazionale.
Agendo con un massiccio schieramento di truppe e di mezzi la Sfor, la forza
di stabilizzazione dell'Alleanza che dopo la pace di Dayton garantisce
alla Bosnia l'attuale malsicuro equilibrio, ha circondato il remoto villaggio
di Celebici, a sud-est di Sarajevo, bloccando le strade e interrompendo
le linee elettriche e telefoniche per un raggio di 40 chilometri nel tentativo
di catturare Karadzic.
Ma l'operazione, condotta con l'appoggio
di elicotteri, automezzi pesanti e reparti specializzati, che hanno isolato
completamente la zona, non ha raggiunto lo scopo. Del rifugio di Karadzic,
nonostante le insistenti segnalazioni, non sono state trovate tracce. Il
solo risultato del blitz, nel quale le truppe hanno fatto irruzione in
decine di alloggi demolendo con cariche esplosive numerose porte blindate,
è stato il ritrovamento di un considerevole quantitativo di armi,
fra le quali razzi anticarro, lanciagranate, munizioni da mortaio, mitragliatrici,
mine antiuomo e proiettili di grande calibro da artiglieria.
«Le segnalazioni sulla presenza
del ricercato Karadzic non hanno trovato conferma», ha ammesso un
portavoce della forza internazionale leggendo una dichiarazione scritta.
«Comunque - ha aggiunto - con questa operazione abbiamo mandato a
Karadzic un messaggio ben chiaro, "siamo alle tue calcagna". Gli abbiamo
fatto capire che siamo decisi a catturare, con la forza se sarà
necessario, tutte le persone che sono ancora a piede libero e ricercate
per crimini di guerra».
Il compito di arrestare Karadzic, secondo
indiscrezioni, sarebbe stato affidato a un reparto di «teste di cuoio»
polacco. «Se riesce», si sarebbe fatto sfuggire un comandante
americano della Sfor, la forza di stabilizzazione della Nato dislocata
in Bosnia, «il successo sarà nostro. Altrimenti vorrà
dire che sui polacchi avremo un'altra barzelletta in più da raccontare».
Vero o apocrifo che sia, l'episodio riferito
da un giornale a Banja Luka, la capitale della Republika Srpska che costituisce
il «cantone serbo» nella Bosnia Erzegovina, oltre a dimostrare
che il pregiudizio etnico non è prerogativa dei soli Balcani, sembra
la conferma di quello che molti sospettavano da tempo: dagli Stati Uniti
finora, al di là delle semplici frasi a effetto, la cattura di Karadzic
e Mladic non è stata vista come una priorità. Sull'obiettivo
di «polizia» che la Nato si vede ora affidare di nuovo, dopo
che la comunità occidentale aveva coltivato a lungo la speranza
di delegarlo a Belgrado e alle autorità serbo-bosniache, le prospettive
comunque rimangono incerte.
Mentre la presenza di Karadzic, secondo
un giornale serbo-bosniaco, era stata segnalata perfino nel monastero ortodosso
di Vilus, per quanto riguarda Mladic, il tribunale internazionale dell'Aja
è tassativo. «Sappiamo che si trova a Belgrado, con tanto
di indirizzo preciso. E' chiaro che il presidente jugoslavo Kostunica si
oppone al suo arresto», dichiara senza giri di parole la procuratrice
Carla Del Ponte. Ma se questo è vero il problema, più che
militare, è politico. Si spiega così la fiducia ostentata
del fratello di Karadzic, Luka, che a poche ore dalla fallita cattura,
in un'intervista alla radio «202» di Belgrado ha detto: «Mio
fratello sta ottimamente, e la Nato se pensa di arrestarlo perde il suo
tempo. Radovan non si farà mai prendere vivo».
Renzo Cianfanelli