IL CORRIERE DELLA
SERA 10/04/2002
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Sembrava che l’incubo nucleare fosse finito, un decennio fa, ...
Sembrava che l’incubo nucleare fosse finito,
un decennio fa, con la conclusione della «guerra fredda» tra
le due superpotenze armate di bombe da 100 megaton e missili orbitali a
testata multipla. Ma oggi, con la propagazione di materiali fissili e armi
nucleari alla mercé di troppi governi bellicosi o complici del neoterrorismo
internazionale, si diffonde un altro incubo. Nel passato, anche dinanzi
a drammatiche vertenze o prove di forza come quelle su Berlino e Cuba,
i due governi ultrapotenti ma realistici e responsabili non furono mai
davvero prossimi all’opzione nucleare. A Washington e a Mosca erano ben
consapevoli che l’uso di ordigni 5 mila volte più distruttivi della
bomba di Hiroshima, solo 20 kiloton, avrebbe provocato insieme con la reciproca
devastazione una catastrofe planetaria. Ora invece la minaccia è
più insidiosa e temibile, anche se dotata di potenzialità
tecniche tanto minori, perché deriva da cospiratori clandestini
o mascherati, complici del neoterrorismo e favorevoli alla proliferazione
delle armi atomiche. Non è più vero che un potere d’offensiva
nucleare presuppone arsenali di missili a medio e lungo raggio, insieme
con sistemi antimissili per l’autodifesa dalle rappresaglie. Qualsiasi
committente occulto può fornire ordigni sufficienti a uno sterminio
di massa, o almeno micidiali congegni radioattivi. Basta un
aereo guidato da terroristi suicidi, o un’atomica tattica nascosta in un
treno merci, senza che la rappresaglia possa raggiungere con provata certezza
la base dell’aggressione.
Ma oltre il neoterrorismo, e gli arsenali
sia pure primitivi dei quali potrà disporre nelle sue retrovie,
la propagazione di materiali atomici favorisce la moltiplicazione delle
possibili cause di conflitti locali. Ossia, più intimidazioni, più
occasioni e tentazioni di ricatti, più guerre «per procura».
Senza sottostimare la probabilità d’incidenti tecnici disastrosi,
né variabili come gli errori di calcolo militare o politico fino
alla dilatazione dei conflitti locali secondo «processi catalitici».
Numerosi risultano gli Stati che dichiarano d’avere
varcato la «soglia nucleare», chiamati a risponderne come responsabili,
ma sfuggono ai controlli almeno finora i più insidiosi armamenti
segreti.
Saddam Hussein, caso esemplare, quante
scorte di materiali fissili ha potuto accumulare nel sottosuolo dei 434
mila chilometri quadrati del suo territorio con gli enormi profitti del
commercio e del contrabbando di petrolio non usati per alimentare la popolazione
irachena? E quali dimensioni le sue armi nucleari o biochimiche potranno
raggiungere nei prossimi anni, come strumenti d’intimidazione? L’infausto
pronostico è motivato dal fatto che l’agguerrito despota di Bagdad
respinge le ispezioni dell’Onu, previste dal patto armistiziale seguito
alla fallita invasione del Kuwait oltreché prescritte dal Consiglio
di Sicurezza. Ma il caso dell’Iraq è solo il più inquietante
fra molti, che imporranno prima o poi drastiche iniziative contro la proliferazione
nucleare, più efficaci se parallele alla riduzione degli arsenali
americani e russi.
La bomba media da un megaton ha la potenza
d’oltre 200 milioni di cannoni da 75, senza valutare le conseguenze del
fall-out radioattivo. John Kennedy, ai suoi tempi, ricordava spesso che
la potenza di tutte le tradizionali esplosioni prima della Seconda guerra
mondiale nell’intera storia umana era stata pari a 5 megaton. Eppure, già
negli anni ’60, prevedeva e segnalava come rischio massimo la proliferazione
nucleare, paragonabile a quel mitologico «vaso di Pandora dal quale
fuoriuscirono i mali del mondo antico». Ma negli anni di Kennedy
alla Casa Bianca, la proliferazione risultava solo incipiente. Oggi
è incombente, dinanzi al neoterrorismo e alla moltiplicazione degli
Stati che tendono al nazionalismo atomico.