Corriere della Sera 18/02/2002
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Alleati sempre più scettici su un intervento a Bagdad. Le Monde: «Ma gli americani sono matti?»

Iraq, l’Europa frena l’ardore Usa

Aznar: «Questa non è lotta al terrorismo». Fischer: «Saddam non c’entra con Osama»
 

Che i Paesi arabi e musulmani (Arabia Saudita in testa) siano contrari a un intervento americano in Iraq non è una sorpresa. Ma nell’intervista di ieri al Corriere , il presidente siriano Bashar el Assad, dopo aver ribadito la propria contrarietà a un’ipotesi del genere, ha messo l’accento anche sull’ostilità espressa a più riprese dagli alleati europei all’eventualità di un prossimo attacco a Bagdad. In effetti negli ultimi giorni la questione Iraq ha sollevato prima qualche dissenso, poi quasi una sollevazione popolare fra i rappresentanti dell’Unione. L’ultimo a far sentire la sua voce è stato il premier spagnolo José Maria Aznar . Ancora ieri in un’intervista pubblicata dal quotidiano portoghese Publico , ribadiva con fermezza: «Io non credo che sia possibile una politica della sicurezza e della difesa europea contraria a quella degli Stati Uniti». Ma il presidente di turno dell’Unione europea sapeva benissimo che alla «carezza» di domenica oggi sarebbe seguita un’altra intervista, pubblicata questa volta dal settimanale tedesco Der Spiegel , in cui Aznar, senza mezzi termini, afferma che «un attacco contro i cosiddetti Stati canaglia non è la stessa cosa della lotta al terrorismo». Dunque è necessario che «noi (europei, ndr ) discutiamo la nuova politica estera americana».
Quale nuova politica? Ma proprio quella inaugurata dal discorso sullo Stato dell’Unione di Bush il 29 gennaio scorso, in cui il presidente degli Stati Uniti ha definito l’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord un «asse del male», lasciando intendere che uno di questi Paesi potrebbe essere il prossimo obiettivo della «guerra antiterrorismo», incominciata il 7 ottobre in Afghanistan.
I primi dissensi si erano manifestati già durante il Forum economico di New York, ai primi di febbraio, quando Javier Solana aveva messo in luce il disagio degli alleati europei dinnanzi all’unilateralismo americano: «Finora - aveva spiegato il rappresentante della politica estera dell’Ue - abbiamo condiviso l’azione degli americani contro il terrorismo: ora però si tratta di condividere anche le decisioni». Ancora più deciso era stato il ministro degli Esteri francese Hubert Védrine , che senza molti complimenti aveva definito «semplicistico» l’approccio americano alla guerra contro il terrorismo.
Il primo quotidiano francese, Le Monde , gli ha dato manforte la settimana scorsa pubblicando un commento intitolato: «Ma gli Stati Uniti stanno diventando matti?». E dire che all’indomani degli attentati alle Torri Gemelle proprio Le Monde aveva titolato: «Siamo tutti americani».
Ed è stato sempre un giornale francese, Le Figaro , a pubblicare venerdì scorso un’intervista al ministro degli Esteri russo Igor Ivanov in cui questi definiva l’espressione «asse del male» coniata da Bush come «un lascito della guerra fredda». Il giorno prima il presidente russo Vladimir Putin , incontrando il premier canadese Jean Chrétien , aveva precisato che «sappiamo tutti benissimo quali Paesi abbiano sostenuto il regime dei talebani in Afghanistan e l’Iraq non è in quella lista». E lo stesso Chretien aveva sottolineato che «la guerra al terrorismo dev’essere condotta multilateralmente».
L’argomentazione di Putin è stata ripresa da Joschka Fischer in un’altra intervista pubblicata oggi dallo Spiegel in cui il ministro degli Esteri tedesco sostiene che «nessuno gli ha mostrato finora mezza prova che l’organizzazione terroristica che fa capo a Bin Laden abbia qualche legame con il regime iracheno». «La coalizione internazionale contro il terrorismo - sostiene Fischer - non è una patente valida per invadere alcun Paese, meno che mai unilateralmente».
L’ultimo «schiaffo» agli Usa è arrivato ieri dal Giappone, dove il presidente Bush è in visita di Stato. Il ministro degli Esteri Gen Nakatami ha espresso forti riserve sulla credibilità dell’«asse del male» delineato dalla Casa Bianca, dicendosi in particolare «molto dubbioso che la Corea del Nord possa aver qualcosa a che fare con Al Qaeda».