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Attacco all'America

Effetto Bin Laden
Un eroe nazionale per il popolo afghano. Un mito per gli estremisti islamici. Un modello per i giovani arabi che odiano l'America. Ora che è stato colpito al cuore il grande nemico, il timore è che possa moltiplicarsi l'esercito dei fanatici. Disposti a tutto

di Dina Nascetti
 
Alle 8,48 di martedì 11 settembre di New York, secondo molti commentatori è avvenuta una rottura che cambierà l’Occidente. Ma che cosa accadrà nel mondo islamico, se è vero che l’ideatore dell’attacco al cuore della potenza mondiale è il ricercato numero uno del terrorismo islamico, il saudita Osama Bin Laden?

Bin Laden non è un leader qualunque. È l’uomo che, nella lotta contro l’armata sovietica che nel 1978 aveva invaso l’Afghanistan riuscì a toccare le corde del sentimento religioso e del nazionalismo frustrato di migliaia di esuli del mondo arabo. E li convinse ad accorrere in massa per combattere il nemico ateo che occupava una terra dell’Islam.

Bin Laden è il leader emblematico del terrorismo islamico. In questo momento, indipenndentemente dal suo reale coinvolgimento nella strage di Manhattan, è lui a incarnare l’immagine del cospiratore antiamericano. Questo contribuirà al suo isolamento o farà crescerte i suoi proseliti tra la gioventù la gioventù araba, spinta all’estremismo dalla povertà e da regimi corrotti?

Lui, uomo religioso, che ha rifiutato gli agi della ricchezza per combattere l’Occidente, potrebbe entrare nell’immaginario dei ragazzi arabi come l’uomo che è riuscito a distruggere l’invulnerabilità dell’America, il paese più odiato per il suo appoggio incondizionato a Israele. I paesi arabi e islamici hanno subito condannato l’attentato. E nelle prime ore solo poche centinaia di persone sono scese in strada al Cairo e a Nablus, cittadina palestinese, esultando per l’America in ginocchio, mentre a Istanbul durante la partita di calcio Galatasaray -Lazio, i tifosi turchi hanno fischiato durante il minuto di raccoglimento, voluto dalla Uefa per ricordare i morti degli attentati americani.

Colpire l’America è da anni l’obiettivo di Bin Laden. Quando viveva a Londra, poco prima di essere espulso nel 1996, aveva dichiarato all’“Indipendent”: «La guerra contro gli Stati Uniti è cominciata. Loro sono contro tutti i musulmani». Poche settimane prima era stato costituito il Fronte mondiale della Jihad, la guerra santa fino alla liberazione della moschea di Al Aqsa a Gerusalemme e della Santa Moschea dell’Islam alla Mecca, occupata quest’ultima - secondo Bin Laden - da un regime assoggettato al nemico americano. Da allora ogni minaccia verbale del “principe del terrore” è stata sempre seguita dai fatti. Tre settimane fa Bin Laden in un’intervista al quotidiano arabo “El Ayat”, stampato a Londra, avvertiva: «Presto colpirò clamorosamente il cuore dell’America». E incitava i fedeli dell’Islam a insorgere contro gli interessi americani in tutto il mondo perché «l’Islam è folle di rabbia contro gli Usa».

Le torri gemelle che da martedì 11 settembre sono scomparse dallo skyline di Manhattan erano già state colpite da un attentato il 26 febbraio del ’93. Bilancio: sei morti e migliaia di feriti. L’ideatore fu allora lo sceicco Omar Abdul Rehmean, un predicatore cieco egiziano in prigione negli Usa. Oggi i tre figli di Rehaman si trovano in Afghanistan e fanno parte del gruppo di Osama Bin Laden, del quale sono consiglieri militari. Questi avrebbero proposto ai Taleban uno scambio di prigionieri tra il predicatore e gli otto volontari occidentali, tra cui due americane, in prigione a Kabul con l’accusa di aver cercato di diffondere il cristianesimo in Afghanistan.

L’attentato, poi, avviene in una ricorrenza drammatica: il massacro del campo profughi palestinesi di Sabra e Chatila a Beirut, nel 1982, ad opera delle milizie cristiane libanesi, appoggiate dalle truppe israeliane. L’allora ministro della difesa Ariel Sharon, oggi premier israeliano, venne ritenuto moralmente colpevole dalla commissione d’inchiesta israeliana. La risposta ai numerosi interrogativi e per impedire che giovani esaltati seguino il “principe del terrore”, sta probabilmente nella proposta del ministro degli esteri israeliano Shimon Peres. La prima reazione deve essere, secondo lui, la definizione di una lista di paesi “sostenitori del terrorismo”, che offrono alle forze eversive campi di addestramento, protezioni militari, aiuti logistici dei loro servizi segreti e coperture diplomatiche. «Questi paesi», ha aggiunto Peres «devono essere messi subito di fronte alla scelta: smantellare le infrastrutture terroristiche, oppure essere esposti a ritorsioni».

Ma non solo, secondo molti palestinesi bisogna colpire anche i paesi che appoggiano finanziariamente alcuni di questi gruppi. Come accade con il Kuwait e l’Arabia Saudita che distribuiscono petrodollari al gruppo di Hamas, responsabile degli attentati kamikaze in Israele. Feisal Hussein, il moderato leader palestinese di Gerusalemme, morto un mese fa in Kuwait per un un infarto, durante una violenta discussione con gli sceicchi del paese petrolifero. Era andato a esortarli a non finanziare il movimento islamista che con i loro attacchi ha contribuito notevolmente a mandare all’aria i negoziati.