Il materiale radioattivo stava per essere sequestrato nel '98 a Roma. Il ministro Scajola e gli inquirenti ridimensionano l'allarme |
Il mistero delle sette barre di uranio scomparse |
DALLA REDAZIONE ROMANA
ROMA - E' un mistero che non fa dormire sonni tranquilli, quello delle sette barre di uranio arricchito 235 e 238, di fabbricazione americana, scomparse nel nulla. Inghiottiti nel mercato nero italiano, finiti chissà dove, i sette cilindri di uranio (90 centimetri appena di lunghezza, un potenziale radioattivo di tutto rispetto) appartenevano a una partita di otto pezzi sfuggiti, per un soffio, a una complicata operazione sotto copertura della Guardia di Finanza. Dove sono ora? L'interrogativo è più che inquietante, se è vero che quando le barre vengono collegate a un innesco convenzionale o artigianale, possono trasformare il centro storico di una metropoli, come Roma o Milano, in un buco radioattivo e di mantenerlo così per oltre un secolo. L'interrogativo risulta ancora più spaventoso se si pensa che il presidente americano, George W. Bush, solo qualche giorno fa ha avvertito che «Al Qaida sta cercando di acquistare ordigni nucleari». Di fatto, dei sette «mostri» non si sa più nulla e il timore che possano trasformarsi nell'«atomica dei poveri» non è poi tanto infondato. E' il '98 quando, a Roma, undici uomini fra mafiosi, esponenti della 'ndrangheta ed ex banditi della Magliana, cercano di piazzarle per 20 miliardi. All'uomo sbagliato però: uno del «Gico», il reparto specializzato della Guardia di Finanza, un «agente sotto copertura» che racconta di trattare per uno Stato arabo. Dopo vari abboccamenti, dopo un accreditamento virtuale di 20 miliardi in una banca svizzera, gli undici finiscono in trappola. Ma le barre all'uranio non saltano fuori e dell'intero stock solo un cilindro finisce nelle mani dei magistrati. Gli undici «venditori», l'11 ottobre scorso, sono stati condannati dal tribunale di Catania a pene tiepide perchè il traffico di materiale strategico è ritenuto ancora un reato minore. Ma il procuratore di Catania, Mario Busacca, è meno allarmista: per noi l'inchiesta è chiusa, dice. E aggiunge: agli atti del processo vi sono diverse perizie che certificano come la barra d'uranio arricchito al 20 per cento «non è sufficiente a realizzare ordigni nucleari». Anche il colonnello Paolo Poletti, comandante del Nucleo delle Fiamme gialle della capitale, getta acqua sul fuoco: «E' una storia vecchia, conclusa con alcune condanne e non c'è motivo di ritenere che le sette barre si trovino a Roma». «Naturalmente - conclude il colonnello - noi teniamo sotto costante monitoraggio la situazione, perchè non si può escludere a priori che qualcuno possa cercare di vendere del materiale nucleare, qualunque sia la sua provenienza». Sulla vicenda è intervenuto, ieri, anche il ministro dell'interno, Claudio Scajola, secondo il quale «ci sono sempre delle esagerazioni. C'è troppo protagonismo». Questa vicenda, ha aggiunto il ministro, «mi sembra troppo montata». Elisabetta Martorelli |