La Gazzetta di Parma 09/01/2002
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Bin Laden si fa vivo. Al telefono
Un estremista di ritorno da Tora Bora: «L'ho sentito dare ordini ai suoi»
 
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PESHAWAR (Pakistan) - L'eco di una voce attribuita a Osama Bin Laden ha ridato vita al fantasma dello sceicco saudita. Il mirino è sempre puntato sull'Afghanistan sud-orientale e soprattutto lungo la fascia di confine con il Pakistan dove ieri gli aerei Usa hanno fatto piovere dapprima volantini - con ammonimenti alla popolazione a non proteggere esponenti di Al Qaida o talebani in fuga - e più tardi bombe.

Dove sia Bin Laden, però, nessuno lo sa con certezza. C'è chi evoca la pista del vicino confine pachistano (pista cui il presidente Pervez Musharraf ha peraltro ribadito ieri a una delegazione di senatori americani di non credere) e chi, come il ministro degli esteri afghano Abdullah Abdullah, ritiene che possa essere ancora rintanato tra le montagne di Tora Bora. E proprio a Tora Bora ieri sera sono tornati in azione circa 80 marines.

L'unica testimonianza di un contatto recente con il principe del terrore è venuta in queste ore da un esponente islamico-radicale pachistano, Javed Ibrahim Paracha. Paracha ha raccontato di aver incontrato alcuni seguaci di Bin Laden nelle aree tribali del Pakistan (dove in effetti le forze speciali pachistane hanno catturato nelle ultime settimane circa 350 «arabi») e di aver raggiunto con alcuni di loro persino un rifugio nella zona di Tora Bora. Da questo rifugio avrebbe poi assistito a una telefonata tra uno dei miliziani che era con lui e Bin Laden.

«Osama è vivo e continua a dare ordini», ha affermato Paracha, aggiungendo di ritenere che lo sceicco parlasse da un luogo non lontano.

Gli americani, da parte loro, assicurano di non voler dare tregua. Le ricerche restano concentrate a Tora Bora e la zona nei dintorni di Khost: roccaforte di Bin Laden fin da quando, nei primi anni '80, l'allora giovane guerrigliero-miliardario saudita vi impiantò il suo primo campo di addestramento realizzato con la benedizione dei servizi segreti pachistani e della Cia ai tempi della battaglia comune contro l'invasione russa.

L'intera area è stata sottoposta ieri a una nuova ondata di bombardamenti da parte dei jet americani, che tentano di far uscire i fuggitivi allo scoperto e di tagliare la strada verso il Pakistan. Con le autorità di Islamabad c'è collaborazione: ieri Washington ha confermato le notizie già emerse nei giorni scorsi sull'apertura dei confini pachistani ai marines. Dubbi ci sono però sull'atteggiamento della gente delle aree tribali di confine.

Più facile della sfida con al Qaida si sta invece rivelando la resa dei conti con quel che rimane dei talebani. Se la guida suprema, mullah Omar, è ancora alla macchia, diversi notabili si sono arresi nelle mani del nuovo governatore di Kandahar, Haji Gul Aga. Tra loro tre ex ministri: il mullah Obaidullah, già responsabile della difesa, il mullah Sauddin, delle miniere e dell'industria, e lo spietato mullah Turabi, della giustizia. Nessuno di loro è stato arrestato: «Questi taleban non sono criminali, almeno fino a quando il popolo afghano non li accuserà di crimini», ha detto oggi un rappresentante del governatore.

In manette è invece finito l'ex portavoce di Omar, Abdul Hayee Motmain, già trasferito dagli afghani nel campo di internamento americano di Kandahar dove sono reclusi più di 300 prigionieri. Da lui Cia ed Fbi si aspettano qualche informazione buona sull'ultimo nascondiglio del mullah.

Alessandro Logroscino