http://www.gdmland.it/QUOTIDIANO/0112/IN_PRIMO_PIANO/NZ03/A02.asp
LA SCHEDA/ Cosa
c'è dietro il traffico nucleare
La mafia bosniaco-croata
è legata
ai radicali islamici
La scoperta di traffici di materiale radioattivo
in Bosnia porta nuovamente alla ribalta il piccolo paese balcanico nel
quale sono stati già accertati forti legami con il terrorismo internazionale
in particolare con la Gia (Gruppi Islamici armati) algerina che fa attivamente
parte della rete di Al Quaida. Il sequestro operato dall'MSU (Multinational
Specialized Unit) dai nostri Carabinieri che operano in Bosnia sotto il
comando dello Sfor non è, però, direttamente legato ai movimenti
radicali islamici, ma alla mafia croato bosniaca. I fusti di materiale
radioattivo sono, infatti, stati trovati a Kiseljiak un paesino a trenta
chilometri da Sarajevo a forte maggioranza croata che durante la guerra
civile è stato una delle roccaforti dell'HVO ovvero dell'esercito
croato bosniaco. Già durante il conflitto Kiselijak era base del
traffico di armi che arrivava dalla Croazia, ma, riferiscono nostre fonti,
vi erano molti contatti anche con i militari in Serbia tanto che nell'ospedale
locale venivano spesso curati soldati serbi feriti. I contatti con ambienti
militari di Belgrado potrebbero spiegare la presenza dei fusti radioattivi
sui quali è stampigliata la sigla dell'ex esercito jugoslavo ovvero
JNA (Jugoslavenska Narodna Armija).
«Una delle ipotesi legate al recente
sequestro - riferisce Gianandrea Gaiani direttore della rivista Analisi
e Difesa (www.analisidifesa.it) - è proprio che dopo la caduta del
regime di Milosevic (il quale specialmente negli ultimi anni aveva cercato
di approvvigionarsi di armi chimiche e materiale radioattivo) si sia aperto
un florido mercato di queste pericolose sostanze oggi richieste sul mercato.
Alcuni ambienti militari in Serbia sono legati tra l'altro alla mafia locale
che opera come longa manus nei Balcani di quella russa. Già durante
l'ultima guerra nella ex Jugoslavia si crearono, infatti, contatti per
il rifornimento di armi con diversi paesi tra i quali Russia e Ucraina».
Ed è ben noto che i paesi della ex Unione Sovietica sono tra quelli
più a rischio nel commercio di sostanze radioattive. Un intreccio
di mafie legate da molteplici interessi sarebbe, quindi, la fonte del materiale
ritrovato a Kiseljiak, ma ciò che preoccupa di più è
che il sequestro sia avvenuto proprio in Bosnia. La mafia bosniaco croata
è, infatti, saldamente legata ai movimenti islamici radicali che
potrebbero aver richiesto materiale radioattivo da adoperare in attentati
terroristici. «Vi sono due possibilità - continua Gaiani -
se il materiale sequestrato fosse ad alta concentrazione potrebbe servire
per creare ordigni nucleari, ma ciò presuppone che chi lo acquista
abbia le tecnologie e le competenze specifiche per assemblare e preparare
la bomba. Più verosimilmente, siamo però solo nel campo delle
ipotesi, le sostanze radioattive sarebbero utili per creare «dirty
bomb». Si tratta di bombe convenzionali ad alto potenziale con intorno
materiale radioattivo il quale dopo l'esplosione si sparge e contamina
tutta la zona circostante. Dal punto di vista militare l'effetto è
ridicolo, ma le conseguenze potrebbero essere terribili se, per esempio,
venisse fatta esplodere di fronte al Campidoglio a Roma oppure a Whashington
davanti alla Casa Bianca. Avrebbe un impatto anche emotivo e sull'opinione
pubblica fortissimo».
Secondo fonti di intelligence Osama bin
Laden lo scorso anno avrebbe stanziato 300 milioni di dollari per l'acquisizione
di materiale radioattivo e creare così una bomba atomica. Fondi
con ogni probabilità ancora disponibili e utili specialmente adesso
che Al Quaeda è in difficoltà stretto nella morsa della coalizione
guidata dagli Stati Uniti.
L'operazione dei nostri Carabinieri porta
a riflettere anche sul ruolo che l'Italia, dopo il disimpegno americano
può svolgere nei Balcani. I nostri militari in Bosnia, Kosovo e
Albania si trovano, infatti, già adesso in prima linea nella "guerra
contro il terrore".
Nicolò Carnimeo