Il Giornale di Sicilia
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Se dopo Kabul tocca a Baghdad

La parte negativa, prima: Bin Laden, il mullah Omar sono ancora introvabili, si sospetta che abbiano potuto lasciare l'Afghanistan rifugiandosi chissà dove; e anche buona parte dell'organizzazione terroristica internazionale di Al Qeida è presumibilmente ancora intatta, impunita. Neppure sono state intaccate gran parte delle imprese e della enorme disponibilità finanziaria dell'organizzazione, nonostante gli sforzi dei paesi occidentali di individuare i canali e la rete di sostegno economico di cui beneficiano i terroristi.
La parte positiva: il regime dei Taleban che sosteneva e proteggeva lo sceicco del terrore, è stato abbattuto, e non è davvero poco. L'Afghanistan sta procedendo verso una lenta, difficile, transizione in senso democratico, sta ritrovando il gusto per la libertà. Sarà naturalmente un processo molto lungo, irto di difficoltà; ma la direzione di marcia è quella giusta. Più in generale: George W. Bush e i suoi collaboratori l'avevano detto subito: sarà una guerra lunga; non solo militare; non solo in Afghanistan. Al Pentagono stanno da tempo lavorando per elaborare piani che consentano di rovesciare Saddam Hussein, il dittatore iracheno. Esplicitamente dicono: L'Iraq è il prossimo obiettivo. Non è in discussione chi, stiamo ragionando sul come e quando: "Next up: Bagdad", "Prossima missione Bagdad" è diventato quasi uno slogan tra i militari americani.
Ci sono poi altri paesi nella lista degli stati "canaglia": dal Sudan alla Somalia; dallo Yemen all'Indonesia; gli americani sono già da tempo al lavoro anche in paesi meno nell'occhio del ciclone, come le Filippine: decine di marines con lo status di consiglieri e di istruttori stanno affiancando le truppe locali, per neutralizzare i guerriglieri islamici di Abu Sayyaf: sospettati di avere legami con Bin Laden. Per l'Iraq gli "avvertimenti" sono già partiti da tempo: o Saddam consente agli ispettori internazionali dell'ONU di poter tornare a verificare lo stato degli armamenti e degli arsenali; oppure sarà nuovamente guerra. E questa volta per rovesciare il regime, contando sull'alleanza, al nord dei curdi; al sud degli sciiti, popolazioni entrambe ostili a Saddam. Gli strateghi americani stanno elaborando piani per un analogo intervento in Somalia.
Insomma: siamo entrati nella fase della guerra al terrore mondiale meno "appariscente"; e probabilmente le "operazione sporche" sono destinate a prendere il sopravvento. Anche questa sarà una fase lunga, difficile; e i risultati non saranno immediati. Bush appare determinato; e si capisce: dai risultati che otterrà, si giocherà il secondo mandato presidenziale. Per ora può stare tranquillo: il consenso al suo operato oscilla tra il 70 e il 90 per cento: come ai tempi di Franklin Delano Roosevelt, quando era in corso la guerra contro nazisti e fascisti. A parte irrilevanti sbavature, finora l'amministrazione Bush non ha sbagliato un colpo; e anche se ogni vita umana è irripetibile e preziosa, la guerra in Afghanistan è stata combattuta con un numero limitatissimo di vittime americane: nel corso delle grandi manovre militari che periodicamente coinvolgono le forze armate americane, il numero di vittime è maggiore. Gli americani insomma finora sono con Bush, tutto fa pensare che lo resteranno ancora a lungo. [email protected]