Il Mattino di Padova
 http://www.mattinopadova.kataweb.it/mattinopadova/arch_05/padova/regione/vr604.htm
La Nuova Venezia
 http://www.nuovavenezia.kataweb.it/nuovavenezia/arch_05/venezia/regione/vr604.htm
Tribuna di Treviso 05/12/2001
 http://www.tribunatreviso.kataweb.it/tribunatreviso/arch_05/treviso/regione/vr604.htm
 

La guerra mondiale del 1965

Vicenza, Verona, Monaco e Vienna distrutte a colpi di bombe A
I piani dell'invasione immaginata allora dal Patto di Varsavia
 

VICENZA. La terza guerra mondiale (una delle tante, ma vista con gli occhi dei «rossi») doveva scoppiare il 23 giugno 1965 alle ore 7 e non certo per colpa loro. Il Patto di Varsavia reagiva ad un subdolo attacco nucleare degli occidentali.
Attacco mascherato da esercitazione eppur riconoscibile da incontrovertibili indizi che i servizi informativi del patto di Varsavia avevano puntualmente colto: tra questi l'arrivo a La Spezia e a Genova di navi Usa, poi movimenti di truppe italiane a Novara, Bergamo e Mantova che il 19 giugno passavano il ponte a Valeggio sul Mincio in direzione Est. L'imminente aggressione ai paesi del socialismo reale era più di una possibilità fin dal 1 giugno, data di una informativa dei servizi ungheresi che riportava l'insolito aumento della propaganda «anticomunista» tra le forze armate austriche e dell'imposizione della censura preventiva sulla «posta privata» e sugli organi di stampa di paesi europei come l'Italia.
Roba da ridere a leggerla adesso, eppure questo è il teatro, le mosse e le contromosse ipotizzate nel «war game» inscenato dal patto di Varsavia nel giugno di 35 anni or sono. Così la riporta il Giornale di Vicenza. Un'esercitazione del tipo di quelle che facevamo anche noi occidentali in cui la foglia di fico dell'aggredito per primo non mancava mai. Questo «war game» si conclude con un minuzioso rendiconto di kilotoni scambiati, Il documento proviene da archivi ungheresi ed è visibile sul sito Internet http:/www.isn.ethz.ch/php/collections/coll-4-english-content.htm. Declassificato, è da qualche tempo a disposizione dell'Isn, un centro di ricerche svizzero. In esso, lo scambio nucleare nell'Europa del sud sarebbe durato da 11 a 13 giorni e si sarebbe concluso con l'occupazione sovietica della Germania occidentale, dell'Austria e di parte della pianura Padana, con il soldato Ivan saldamente trincerato sugli Appennini tosco emiliani ad impedire la controffensiva alleata con il «lancio di truppe aviotrasportate» e «lo sbarco di rinforzi».
Alla fine del gioco sarebbero state lanciate almeno 15 bombe nucleari per parte, cinque città europee erano distrutte nello spazio di due minuti: dalle 7,00 alle 7,02 del 23 giugno bruciavano Vienna, Monaco, Aviano, Verona, Ghedi (l'aeroporto), Piacenza (l'aeroporto) e Vicenza.
Le perdite riportate dei «rossi» erano analoghe ma meno esplicite (5 tra città e aree popolate distrutte), mentre è più preciso il numero dei ponti crollati a Budapest, nove. In ogni caso gli eserciti di Varsavia avevano retto il colpo, rilanciato e traformato l'invasione occidentale in una disfatta che portava i confini del Patto fino a Monaco e a Brescia.
Come potessero poi credere di trovarsi bene in quello che rimaneva deve essere per l'ottimismo dell'epoca. Dieci divisioni del Patto avevano avanzato per 13 giorni alla media di 50 chilometri al giorno, giù dal Brennero e da Tarvisio in un ambiente colpito da 15 bombe atomiche per un totale di 600 chilotoni (Hiroshina ne ha avuti 20), contaminato nel terreno e nelle falde acquifere (al fall out radioattivo si devono aggiungere il 25 per cento delle ogive convenzionali armate chimicamente), con 2445 carri vittoriosi, 214 aerei e 1252 pezzi di artiglieria mossi da intrepidi soldatini. Come potessero immaginare che sarebbe finita è ancora più sorprendente. Il «war game» del patto di Varsavia immaginava che le bombe A scambiatesi si fermassero a 30 per parte (i «capitalisti» ne erano accreditati di 130 in arsenale), che la Jugoslavia non allineata di Tito restasse alla finestra e non fosse coinvolta (a quell'epoca, Josip Broz Tito era un nemico di Mosca), che al termine del divertimento la fine del mondo si limitasse alla fascia che va Budapest a Monaco e a Bologna e non tracimasse in ogni angolo del pianeta. Immaginavano di vincere, in questo ottimisti e uguali ai generali che stavano dall'altra parte.