La guerra mondiale del 1965
Vicenza,
Verona, Monaco e Vienna distrutte a colpi di bombe A
I
piani dell'invasione immaginata allora dal Patto di Varsavia
VICENZA. La terza guerra mondiale (una
delle tante, ma vista con gli occhi dei «rossi») doveva scoppiare
il 23 giugno 1965 alle ore 7 e non certo per colpa loro. Il Patto di Varsavia
reagiva ad un subdolo attacco nucleare degli occidentali.
Attacco mascherato da esercitazione eppur
riconoscibile da incontrovertibili indizi che i servizi informativi del
patto di Varsavia avevano puntualmente colto: tra questi l'arrivo a La
Spezia e a Genova di navi Usa, poi movimenti di truppe italiane a Novara,
Bergamo e Mantova che il 19 giugno passavano il ponte a Valeggio sul Mincio
in direzione Est. L'imminente aggressione ai paesi del socialismo reale
era più di una possibilità fin dal 1 giugno, data di una
informativa dei servizi ungheresi che riportava l'insolito aumento della
propaganda «anticomunista» tra le forze armate austriche e
dell'imposizione della censura preventiva sulla «posta privata»
e sugli organi di stampa di paesi europei come l'Italia.
Roba da ridere a leggerla adesso, eppure
questo è il teatro, le mosse e le contromosse ipotizzate nel «war
game» inscenato dal patto di Varsavia nel giugno di 35 anni or sono.
Così la riporta il Giornale di Vicenza. Un'esercitazione del tipo
di quelle che facevamo anche noi occidentali in cui la foglia di fico dell'aggredito
per primo non mancava mai. Questo «war game» si conclude con
un minuzioso rendiconto di kilotoni scambiati, Il documento proviene da
archivi ungheresi ed è visibile sul sito Internet http:/www.isn.ethz.ch/php/collections/coll-4-english-content.htm.
Declassificato, è da qualche tempo a disposizione dell'Isn, un centro
di ricerche svizzero. In esso, lo scambio nucleare nell'Europa del sud
sarebbe durato da 11 a 13 giorni e si sarebbe concluso con l'occupazione
sovietica della Germania occidentale, dell'Austria e di parte della pianura
Padana, con il soldato Ivan saldamente trincerato sugli Appennini tosco
emiliani ad impedire la controffensiva alleata con il «lancio di
truppe aviotrasportate» e «lo sbarco di rinforzi».
Alla fine del gioco sarebbero state lanciate
almeno 15 bombe nucleari per parte, cinque città europee erano distrutte
nello spazio di due minuti: dalle 7,00 alle 7,02 del 23 giugno bruciavano
Vienna, Monaco, Aviano, Verona, Ghedi (l'aeroporto), Piacenza (l'aeroporto)
e Vicenza.
Le perdite riportate dei «rossi»
erano analoghe ma meno esplicite (5 tra città e aree popolate distrutte),
mentre è più preciso il numero dei ponti crollati a Budapest,
nove. In ogni caso gli eserciti di Varsavia avevano retto il colpo, rilanciato
e traformato l'invasione occidentale in una disfatta che portava i confini
del Patto fino a Monaco e a Brescia.
Come potessero poi credere di trovarsi
bene in quello che rimaneva deve essere per l'ottimismo dell'epoca. Dieci
divisioni del Patto avevano avanzato per 13 giorni alla media di 50 chilometri
al giorno, giù dal Brennero e da Tarvisio in un ambiente colpito
da 15 bombe atomiche per un totale di 600 chilotoni (Hiroshina ne ha avuti
20), contaminato nel terreno e nelle falde acquifere (al fall out radioattivo
si devono aggiungere il 25 per cento delle ogive convenzionali armate chimicamente),
con 2445 carri vittoriosi, 214 aerei e 1252 pezzi di artiglieria mossi
da intrepidi soldatini. Come potessero immaginare che sarebbe finita è
ancora più sorprendente. Il «war game» del patto di
Varsavia immaginava che le bombe A scambiatesi si fermassero a 30 per parte
(i «capitalisti» ne erano accreditati di 130 in arsenale),
che la Jugoslavia non allineata di Tito restasse alla finestra e non fosse
coinvolta (a quell'epoca, Josip Broz Tito era un nemico di Mosca), che
al termine del divertimento la fine del mondo si limitasse alla fascia
che va Budapest a Monaco e a Bologna e non tracimasse in ogni angolo del
pianeta. Immaginavano di vincere, in questo ottimisti e uguali ai generali
che stavano dall'altra parte.