I limiti di una
lotta
Terrorismo contro
il terrorismo
di Giuseppe Giarrizzo
Monta inarrestabile l'orrore: i conflitti
che rendono vieppiù instabile l'area geopolitica dell'Afghanistan
liberato, le tensioni indotte dalle minacce americane Iraq ed Iran «agenti
del Male planetario», ed ora l'esecuzione filmata del giovane reporter
americano conferiscono colori ancor più lividi alla guerra che il
governo d'Israele conduce sotto l'ombrello della «lotta al terrorismo»,
con tratti brutali da guerra civile nella sospensione di ogni garanzia
internazionale e decidendo senza riscontri dei «terroristi»
da eliminare o imprigionare. Trovo insopportabile l'ipocrisia che chiede
garanzie per i deportati di Guantanamo, e non sembra porre limiti alla
guerra senza quartiere che Sharon porta – in termini conclamati di vendetta
e ritorsione – nelle zone già attribuite al regime di Arafat. E
io trovo ancor più disgustoso quando apprendo del nulla-osta di
Bush all'iniziativa dell'Ue (e l'Europa ringrazia!) per una mediazione
in Palestina, caratterizzata però dalla non collaborazione degli
Usa e dall'aperto sostegno, politico ed economico, degli Stati Uniti alla
«sporca guerra» di Sharon.
Si dice che gli Stati Uniti non possono
«abbandonare» il lor principale alleato in Medio Oriente nella
guerra imminente contro l'Iraq e l'Iran – regimi illiberali e perciò
generatori di terrorismo. Ma (domanda retorica?) sarebbero liberali i regimi
di Siria, Egitto, Algeria, Arabia Saudita o Kuwait? V'ha chi scommetta,
dopo gli scontri India-Pakistan, e l'eterna questione del Kashmir (ove
par si nasconda l'inafferrabile Bin Laden), sulla normalizzazione democratica
del Pakistan ad opera del rafforzato potere militare interno di Musharraf
«levantino»? Ma non ci siamo scordati anche noi, dopo il ritorno
alla grande dei capitali libici nel mercato italiano ed europeo, delle
concitate campagne americane ed inglesi contro la Libia di Gheddafi?
E l'elenco potrebbe
continuare... Ma non sarò tanto ingenuo da sottolineare queste contraddizioni
della politica post-imperialista per denunciare i limiti della moralità,
umana e giuridica, della «Realpolitik». Se insisto
nel dichiarare allarme e disgusto nei confronti della ipocrisia, che ammanta
di candore causidico la lotta terroristica al terrorismo, è per
due preoccupazioni che poco avvertite nel bel Paese – già investono
il senso comune dell'Europa politica: la prima minacciato (da chi?) disimpegno
europeo, che rendono vieppiù confusa ed impotente una politica estera
dell'Ue ancora tutta da fare dietro le dichiarazioni di facciata. E gli
Usa privilegiano frattanto la Cina sulla Russia che lasciano agli abbracci
europei (Cecenia compresa): tanto a far da sentinella di quel che rimane
– poco più che carta straccia – del vecchio Patto atlantico sta
il fedele Blair, pronto a fare e disfare direttori disgreganti. E mi attendo,
ove la recessione degli Usa dovesse (come si teme) durare, un altero predicozzo
di Bush, variamente condito di gaffes, che rivolga all'Europa dell'Euro
le critiche ed i consigli ammanniti al Giappone in difficoltà.
Già il Giappone! Ma v'ha qualcuno
che abbia, nelle recenti commemorazioni del decennio di Mani pulite (uno
spettacolo non sempre esaltante), commisurato l'impatto devastante della
corruzione politico-finanziaria che sta alla base del disastro argentino
e della crisi nipponica con lo scampato pericolo dell'Italia «salvata»
da Mani pulite e dai governi di risanamento e di austerità «europea»,
da Amato a Ciampi? A che serve la globalizzazione se non riusciamo a guardare
fuori dalla nostra piccola parrocchia, e se l'impotenza degli storici nostrani
(in attesa di qualche mediocre storico inglese o americano da tradurre)
si somma alla stupidità liturgica dei nostri politici? È
proprio vero che di quella stagione, che conobbe un'altissima tensione
etico-politica, non si possa ancora dar storia?
Eppure questo
sfogo non basta a far digerire il tossico dell'impotenza europea, lasciata
ad attender nell'anticamera degli Usa. V'ha ancora un fondo
del bicchiere la cui tossicità è letale se colpisce in modo
irreversibile il midollo spinale dell'Europa «in progress»,
un'Europa che tra dubbi e tensioni viene nondimento elaborando nuovi valori
di civiltà – una nuova idea di natura ed una nuova idea di umanità.
Mi riferisco in particolare al processo dell'Aja contro Milosevic per il
genocidio serbo, e agli argomenti non solo abili ma inquietanti dell'ex-uomo
forte della grande Serbia. Ora il carattere strumentale di quegli argomenti
è dato per scontato, e pur lo ritroveremo con affini argomenti nella
propaganda antiterroristica da tempo avviata; ma il parallelismo che la
difesa Milosevic propone tra il caso serbo e il caso israeliano resta impressionante,
e – se positivi sviluppi non interverranno a breve nella crisi mediorientale
(più ci s'attende però dalla visita di Mubarak a Washington
che dall'impacciata iniziativa dell'Ue) – crescerà allora nella
coscienza turbata dell'europeo medio il dubbio su una disparità
di comportamento della Nato tra la liquidazione dei serbi per aver fatto
terra bruciata, con brutalità ed efferatezza, attorno ai «terroristi»
albanesi dell'Uck (è la tesi Milosevic, per cui la sua difesa chiama
in causa i responsabili della politica estera degli Usa e dell'Ue), ed
il sostegno o la comprensione per le ritorsioni israeliane che oppongono
terrorismo a terrorismo, e mirano a costruire per un virtuale Stato palestinese
dei regimi fantoccio da dover poi costantemente sostenere nell'inevitabile
guerra civile e religiosa che si scatenerà con caratteri endemici
negli attuali territori, siano presidiati o meno dalle enclave dei coloni
oltranzisti.
Può darsi che Bush, nel sogno crociato
di «enduring freedom», risulti insensibile a questo degrado
sconvolgente della vita morale e delle tradizioni culturali dell'Europa;
e che il modesto prestigio dell'Ue non ammessa alle stanze blindate dei
consiglieri del fanatizzato presidente escluda l'ascolto da parte degli
Usa degli alleati europei quando questi interpretano differenti interessi
morali e gli allarmi dei loro paesi. L'Europa
può trovarsi sull'orlo di un baratro morale che non ha precedenti,
e di cui la dichiarata attività di centrali di disinformazione rende
drammatico il rischio. Ma un'Europa così ridotta, incerta di sé
ed in piena crisi di valori, non serve da supporto etico-politico e neppur
militare alla giusta causa della lotta al terrorismo: non ci sono a quelle
trappole mortali altre vie d'uscita fuor della conquista di uno spazio
nuovo nel rapporto tra gli Usa e l'Ue, ed una rapida composizione del conflitto
israeliano-palestinese. Il tempo degli appelli è scaduto
da mesi, la stessa propaganda logora e ripetitiva persuade solo i pochi
che vogliono esser persuasi, cresce come un fiume in piena l'onda del dubbio.
Aspettando e speriamo che alle liturgie impotenti, accresciute dai pasticci
incompetenti dei politici nostrani, seguano a breve proposte chiare, efficaci
e concordate. Altrimenti la condanna già scritta di Milosevic non
sarebbe l'inizio da tutti auspicato di una giustizia giusta in nome dei
diritti umani offesi, bensì un episodio penoso da dimenticare –
mentre insorge di conseguenza nel mondo slavo una domanda di chiarezza
e di dialogo che ove fosse ignorata o intercettata avrebbe conseguenze
che non siam neppure in grado di prevedere. Si pensi soltanto all'effetto
di contagio in Africa ed in Asia, e all'espansione dell'antiamericanismo
che procede, nelle masse e nella cultura, con rapidità almeno pari
all'impegno diplomatico degli Usa a federare «governi amici».
Da sempre, nell'Europa
libera, la forza morale è consistita nel segnare con rigore inflessibile
i modi e i tempi dello «stato di eccezione», e nel rifiuto
di rispondere con mezzi sporchi alle altrui guerre sporche, con metodi
illiberali agli assalti del terrorismo. «Enduring freedom»
non può in un mondo globale esser un capitolo della guerra perenne,
e sarebbe tragico per l'umanità se il nuovo ordine mondiale si fondasse
(come voleva il nazista Carl Schmitt) nella ricerca perenne di un «nemico»
da distruggere.
Giuseppe Giarrizzo