Bush: «Saddam
Hussein è una minaccia e lo affronteremo»
Intanto Cheney
incassa dallo Yemen un altro no all'attacco
Giulia Solari
Mentre il suo vice è impegnato
in una missione in Medio Oriente per raccogliere il consenso dei paesi
arabi per un attacco all'Iraq, da Washington il presidente George W. Bush
torna a minacciare esplicitamente Baghdad, facendo capire che il conto
alla rovescia è già iniziato. Non solo, ma ribadendo che
gli Stati Uniti si riservano di utilizzare tutte le opzioni a loro disposizione,
di fatto rilancia l'opzione nucleare.
Nella sua prima conferenza stampa formale
dall'inizio dell'anno, Bush usa toni messianici per spiegare quella che
chiama la «missione» degli Stati Uniti e fa un parallelo con
la Seconda guerra mondiale, respingendo l'accostamento al più imbarazzante,
per Washington, conflitto in Vietnam: «La storia - dice - ci ha chiamati
ad intervenire e io intendo cogliere e vivere questo attimo per il bene
del mondo, per la pace del mondo e per la libertà. Gli Usa hanno
una missione chiara in questa guerra al terrorismo». E il prossimo
obiettivo di questa missione è l'Iraq di Saddam Hussein: «Sono
profondamente preoccupato per l'Iraq - spiega -. E' un paese guidato da
un uomo che è arrivato fino a uccidere i suoi stessi connazionali
usando armi chimiche, un uomo che non autorizza l'ingresso nel paese agli
ispettori internazionali, un uomo che ha ovviamente qualcosa da nascondere.
E' un problema che affronteremo. Noi abbiamo messo tutte le opzioni sul
tavolo perché vogliamo che sia chiaro per tutte le nazioni che non
possono minacciare gli Stati Uniti o usare armi di distruzione di massa
contro di noi e contro i nostri alleati e amici». Quindi
un riferimento alla missione di Cheney: «Il primo passo sarà
di consultarci con i nostri alleati ed è esattamente quello che
stiamo facendo».
Missione senza esito
Non che la missione del vicepresidente
sia stata finora granché proficua. Sia la Giordania che l'Egitto
hanno ripetuto il loro no ad un attacco contro Baghdad e non è andata
meglio ieri nello Yemen. Sanaa ha ribadito che intende collaborare con
gli Stati Uniti per impedire l'infiltrazione di uomini di al Qaeda nel
Paese, ma ha anche invitato alla prudenza per le bellicose esternazioni
di Washington: «Non va gettata altra benzina sul fuoco. Piuttosto
ora è necessario risolvere la questione palestinese», ha detto
un consigliere del presidente Ali Abdullah Saleh. L'incontro tra Cheney
e Saleh è andato avanti per oltre due ore, compresi circa 30 minuti
di faccia a faccia senza le rispettive delegazioni: «Abbiamo
discusso di un'ampia rosa di temi, compreso il conflitto israelo-palestinese,
la prosecuzione della guerra contro il terrorismo e l'Iraq»,
ha spiegato il vicepresidente Usa. In base a un accordo raggiunto pochi
giorni fa, Washington invierà nello Yemen un centinaio di consiglieri
militari, in tre scaglioni, per addestrare le forze di sicurezza di Sanaa:
«E' un passo importante del percorso nella regione - ha sottolineato
Cheney -, stiamo collaborando con il governo per impedire che le forze
di al Qaeda si riorganizzino qui». Il presidente Saleh ha assicurato,
da parte sua, che la collaborazione statunitese incontra il favore popolare,
almeno fino a quando non implicherà azioni militari contro Baghdad:
«La gente ne comprende l'importanza, ma c'è una forte opposizione
per eventuali combattimenti. Non vogliono che gli americani vengano qui
e facciano da soli».
E mentre la Russia, per bocca del ministro degli Esteri Igor Ivanov, continua a lanciare appelli perché il problema Baghdad trovi una soluzione politica all'interno delle Nazioni Unite, Cheney si trova oggi nell'Oman da dove poi proseguirà verso altri cinque paesi arabi - Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar - e quindi in Israele e in Turchia. Intanto, parallelamente al viaggio di Cheney, Saddam Hussein ha mandato in missione un suo inviato, il vice presidente del Consiglio del comando rivoluzionario dell'Iraq, Izzat Ibrahim, che ieri era al Cairo dopo essere stato già in Giordania, Siria e Libano. E il quotidiano "Babel", diretto da Udai Hussein, figlio maggiore del presidente iracheno, ha irriso sulle sue pagine la missione di Cheney, definito un "messaggero di guerra": «Non raccoglierà alcunché dal suo viaggio, tranne un crescente rigetto dei tentativi americani di lanciare una nuova guerra».