Liberazione 15/03/2002
 http://www.liberazione.it/giornale/020315/LB12D6A3.asp

Bush: «Saddam Hussein è una minaccia e lo affronteremo»
Intanto Cheney incassa dallo Yemen un altro no all'attacco
Giulia Solari
 
Mentre il suo vice è impegnato in una missione in Medio Oriente per raccogliere il consenso dei paesi arabi per un attacco all'Iraq, da Washington il presidente George W. Bush torna a minacciare esplicitamente Baghdad, facendo capire che il conto alla rovescia è già iniziato. Non solo, ma ribadendo che gli Stati Uniti si riservano di utilizzare tutte le opzioni a loro disposizione, di fatto rilancia l'opzione nucleare.
Nella sua prima conferenza stampa formale dall'inizio dell'anno, Bush usa toni messianici per spiegare quella che chiama la «missione» degli Stati Uniti e fa un parallelo con la Seconda guerra mondiale, respingendo l'accostamento al più imbarazzante, per Washington, conflitto in Vietnam: «La storia - dice - ci ha chiamati ad intervenire e io intendo cogliere e vivere questo attimo per il bene del mondo, per la pace del mondo e per la libertà. Gli Usa hanno una missione chiara in questa guerra al terrorismo». E il prossimo obiettivo di questa missione è l'Iraq di Saddam Hussein: «Sono profondamente preoccupato per l'Iraq - spiega -. E' un paese guidato da un uomo che è arrivato fino a uccidere i suoi stessi connazionali usando armi chimiche, un uomo che non autorizza l'ingresso nel paese agli ispettori internazionali, un uomo che ha ovviamente qualcosa da nascondere. E' un problema che affronteremo. Noi abbiamo messo tutte le opzioni sul tavolo perché vogliamo che sia chiaro per tutte le nazioni che non possono minacciare gli Stati Uniti o usare armi di distruzione di massa contro di noi e contro i nostri alleati e amici». Quindi un riferimento alla missione di Cheney: «Il primo passo sarà di consultarci con i nostri alleati ed è esattamente quello che stiamo facendo».
 

Missione senza esito
Non che la missione del vicepresidente sia stata finora granché proficua. Sia la Giordania che l'Egitto hanno ripetuto il loro no ad un attacco contro Baghdad e non è andata meglio ieri nello Yemen. Sanaa ha ribadito che intende collaborare con gli Stati Uniti per impedire l'infiltrazione di uomini di al Qaeda nel Paese, ma ha anche invitato alla prudenza per le bellicose esternazioni di Washington: «Non va gettata altra benzina sul fuoco. Piuttosto ora è necessario risolvere la questione palestinese», ha detto un consigliere del presidente Ali Abdullah Saleh. L'incontro tra Cheney e Saleh è andato avanti per oltre due ore, compresi circa 30 minuti di faccia a faccia senza le rispettive delegazioni: «Abbiamo discusso di un'ampia rosa di temi, compreso il conflitto israelo-palestinese, la prosecuzione della guerra contro il terrorismo e l'Iraq», ha spiegato il vicepresidente Usa. In base a un accordo raggiunto pochi giorni fa, Washington invierà nello Yemen un centinaio di consiglieri militari, in tre scaglioni, per addestrare le forze di sicurezza di Sanaa: «E' un passo importante del percorso nella regione - ha sottolineato Cheney -, stiamo collaborando con il governo per impedire che le forze di al Qaeda si riorganizzino qui». Il presidente Saleh ha assicurato, da parte sua, che la collaborazione statunitese incontra il favore popolare, almeno fino a quando non implicherà azioni militari contro Baghdad: «La gente ne comprende l'importanza, ma c'è una forte opposizione per eventuali combattimenti. Non vogliono che gli americani vengano qui e facciano da soli».

E mentre la Russia, per bocca del ministro degli Esteri Igor Ivanov, continua a lanciare appelli perché il problema Baghdad trovi una soluzione politica all'interno delle Nazioni Unite, Cheney si trova oggi nell'Oman da dove poi proseguirà verso altri cinque paesi arabi - Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar - e quindi in Israele e in Turchia. Intanto, parallelamente al viaggio di Cheney, Saddam Hussein ha mandato in missione un suo inviato, il vice presidente del Consiglio del comando rivoluzionario dell'Iraq, Izzat Ibrahim, che ieri era al Cairo dopo essere stato già in Giordania, Siria e Libano. E il quotidiano "Babel", diretto da Udai Hussein, figlio maggiore del presidente iracheno, ha irriso sulle sue pagine la missione di Cheney, definito un "messaggero di guerra": «Non raccoglierà alcunché dal suo viaggio, tranne un crescente rigetto dei tentativi americani di lanciare una nuova guerra».