Obiettivo Iraq,
no russo e arabo
Russia e Lega
araba mettono in guardia l'amministrazione Bush dal colpire l'Iraq. Un
attacco "spezzerebbe la coalizione antiterrorismo". L'Onu blocca il tentativo
Usa di mettere le mani sul petrolio iracheno con la scusa delle "sanzioni
intelligenti"
STEFANO CHIARINI
Aerei anglo-americani hanno bombardato
ieri alcune installazioni militari irachene a poche ore dal diktat di Bush
che ha ordinato all'Iraq di accettare di nuovo gli ispettori dell'Onu per
il disarmo non convenzionale cacciati nel dicembre 1998 per aver "provocato"
(secondo lo stesso ispettore Usa Scott Ritter) i devastanti raid americani
contro Baghdad. Se l'Iraq, come ha fatto ieri, dovesse opporre un netto
rifiuto al rientro degli ispettori Onu-Cia fino a quando non verranno tolte
le sanzioni (che hanno già ucciso un milione e mezzo di cittadini
innocenti), allora , ha aggunto Bush, "Se ne accorgerà". Parallelamente
oltre 3.000 marines hanno iniziato nuove esercitazioni a fuoco in Kuwait
lungo il confine con l'Iraq mentre alle Nazioni unite Washington non è
riuscita ad imporre un nuovo inasprimento della sanzioni -con il blocco
del contrabbando unica fonte indipendente di valuta pregiata dell'Iraq-
per l'opposizione di Russia e Cina. Opposizione che ha riguardato anche
l'ipotesi di un allargamento della guerra al terrorismo all'Iraq. Una prospettiva
che anche il ministro degli esteri siriano Farouk al Shara - a nome di
tutti i paei arabi- ha ieri condannato con durezza definendola "un errore
fatale".
Gli Usa però potrebbero riuscire
nelle prossime ore ad imporre comunque un rinnovo del regime attuale della
"oil for food" ("cibo contro petrolio") - risoluzione "umanitaria" che
in realtà è servita a pagare i danni di guerra e non certo
a sfamare la popolazione irachena dal momento che a fronte di vendite di
petrolio per 49 miliardi di dollari dal 1996 ad oggi ha visto arrivare
in Iraq merci essenziali per appena 16,8 miliardi di dollari - per per
soli quattro mesi invece degli usuali sei in modo tale da poter imporre
al Consiglio di sicurezza, il prossimo marzo, l'agognato inasprimento del
regime dell'embargo. O da poter giustificare un nuovo attacco all'Iraq
nel corso del quale magari potrebbero essere sperimentate le famose "piccole
atomiche" designate per "colpire i bunker" dove sarebbero conservate presunte
armi di distruzione di massa. Intanto in vista di un possibile arrivo dei
marines nella enclave kurda nell'Iraq del nord (in una riedizione della
strategia afghana con i kurdi al posto dell'Alleanza del nord, che poi
dovrebbero essere rimessi a loro posto dalla Turchia) le milizie filo-occidentali
dell'Unione patriottica del Kurdistan di Jalal Talabani hanno attaccato
nei pressi della città di Halabja le milizie integraliste kurde
del "Jund al Islam". Naturalmente nel'ambito della "lotta contro il terrorismo".
Il quadro generale sembra così indicare uno spostamento dell'amministrazione
Bush verso l'ipotesi di un attacco all'Iraq "per finire il lavoro del 1991"
sostenuta dai superfalchi, nuovi conservatori reaganiani e lobby filo-israeliane,
che fanno capo al vice ministro dalla difesa Paul Wolfowitz e al Defence
Policy Board del Pentagono con la partecipazione di Richard Perle, Henry
Kissinger, James Schlesinger, Dan Quayle, e Newt Gringich. E soprattutto
dell'ex capo della Cia james Woolsey dall'undici settembre in giro per
il mondo alla ricerca di "prove" di un coinvolgimento dell'Iraq negli attentati
alle torri gemelle e al Pentagono. Ricerca piuttosto frustrante dal momento
che tra i dirottatori non sembra ci sia neppure un iracheno ma piuttosto
sauditi ed egiziani e che il gruppo di al Qaeda avesse avuto come obiettivo
principale per anni e anni proprio l'Iraq "ateo" ultimo rappresentante
nel mondo arabo e musulmano di una ideologia socialisteggiante e quindi
atea. Ma a Bush non interessano nè l'islamismo nè il terrorismo
ma solamente il colpire coloro che si ribellano ai voleri dell'impero e
che intralciano il progetto di balcanizzare l'intero medioriente, spezzettandone
i principali stati su basi e
tnico-confessionali, in modo da poter
con facilità controllare il petrolio saudita e iracheno e assicurare
sulla regione una pax americano-israeliana. Il vecchio sogno di Ben Gurion
e di una parte dell'establishment sionista degli albori di Israele.
La risposta irachena al diktat di Bush
non si è fatta attendere. Baghdad, ha sostenuto il ministero degli
esteri, ha applicato la risoluzione 687 sul disarmo non convenzionale mentre
le Nazioni unite "a causa delle pressione americane e britanniche" non
lo hanno fatto disattendendo quel punto C che prevede la fine delle sanzioni
una volta realizzato il disarmo non convenzionale. La settimana scorsa
il governo iracheno si era detto disposto a "considerare la possibilità
di un ritorno degli ispettori" ma solo "dopo che saranno state revocate
le sanzioni" ormai in vigore dal 1990 e "abolite le No fly zone", zone
di interdizione aerea ai velivoli iracheni istituite arbitrariamente da
Usa e Gb nel nord e nel sud dell'Iraq. Alle accuse Usa di aver ripreso
il programma per la costruzione di armi chimiche e batteriologiche l'Iraq
ha risposto che per otto anni gli ispettori dell'Onu hanno avuto mano libera
nel paese e che toccherebbe agli Usa e ad Israele aprire i loro arsenali
alle ispezioni della comunità internazionale. A favore della tesi
di Baghdad è del resto sceso in campo uno dei più noti e
controversi ispettori della Commissione dell'Onu per il disarmo iracheno
l'ufficiale dei marines, Scott Ritter. Quest'ultimo ha sostenuto che "già
dal 1997 l'Iraq non possiede più significative quantità di
agenti chimici o biologici, se mai gli ha avuti". Lo stesso dicasi per
il potenziale nucleare e balistico: "Da un punto di vista qualitativo l'Iraq
è stato disarmato". Del resto la stessa risoluzione 687 stabiliva
con chiarezza che lo smantellamento delle armi di distruzione di massa
dell'Iraq doveva essere inquadrata in un più generale progetto di
disarmo non convenzionale dell'intero medioriente. Compresa Israele principale
potenza nucleare, chimica e batteriologica della regione.