Pakistan, il giallo
nucleare - Scricchiola il potere di Musharraf.
Arrestati di
nuovo i due scienziati che lavorarono all'atomica pakistana, oggi amici
dei taleban
MARINA FORTI
- INVIATA A ISLAMABAD
La sicurezza nucleare non c'entra nulla,
ha detto ieri pomeriggio il maggiore-generale Rashid Qureshi, portavoce
del capo del governo pakistano. Sarà, ma l'arresto di due scienziati
nucleari legati ai Taleban, in un paese dotato di armi nucleari fa suonare
molti campanelli d'allarme. I due sono Sultan Bashiruddin Mahmood e Chaudry
Abdul Majid, già fermati e interrogati alla fine di ottobre a proposito
della loro attività con un'organizzazione non governativa di assistenza
all'Afghanistan dei Taleban. Gli scienziati erano stati rilasciati dopo
alcuni giorni ed erano tornati a casa, avevano detto i portavoce goivernativi:
ma da allora nessuno ha potuto visitarli o comunicare con loro, a parte
i parenti stretti. Lunedì sera, in un'intervista alla tv pakistana,
il generale Parver Musharraf aveva detto che i due scienziati non hanno
mai avuto a che fare direttamente con il programma nucleare militare. E
ieri, sollecitato dai giornalisti, il maggiore-generale Qureshi ha detto
che sì, Bashiruddin Mahmood e Abdul Majid sono di nuovo "entrambi
in stato d'arresto", perché sono necessari nuovi interrogatori.
Il portavoce ha dichiarato di non conoscere dettagli sullo stato delle
indagini sul loro conto.
Sultan Bashiruddin Mahmood e Chaudry Abdul
Majid sono stati, entrambi, in servizio presso la Commissione Pakistana
per l'Energia atomica, e hanno lavorato a programmi sulle armi nucleari.
Mahmood è un ingegnere nucleare, ed è stato responsabile
della sicurezza al reattore nucleare di Khushab, nel Punjab. Dal '98 è
in pensione, e da allora ha diretto un'organizzazione umanitaria che conduce
progetti alimentari in Afghanistan. Abdul Majid ha lavorato con Mahmood
sia nei laboratori nucleari, sia più tardi nell'organizzazione non
governativa per l'Afghanistan. Entrambi professano una versione fondamentalista
dell'islam, ed erano molto vicini ai Taleban.
L'arresto dei due scienziati nucleari
aveva già suscitato un mese fa numerosi interrogativi - e l'intervista
a Osama bin Laden pubblicata due settimane fa da un giornale pakistano,
in cui il principe saudita afferma di avere la bomba atomica, aveva ovviamente
provocato allarme. Il primo interrogativo è quanto sicure siano
le armi atomiche pakistane (Islamabad ha almeno 24 testate nucleari, stimano
gli Usa, che possono essere installate e rilasciate da missili a medio
raggio e da aerei F-16): nelle ultime settimane, dopo l'11 settembre, discrete
missioni di alti funzionari del Pentagono sono state in Pakistan per discutere
con il governo di Musharraf la sicurezza delle installazioni atomiche:
quel che preoccupa è che cadano in mano a fazioni islamiste ribelli
nell'establishment militare. E secondo il giornalista Seymour M. Hersh
(su The New Yorker, 5 novembre) unità scelte del Pentagono "in incognito"
- quelle addestrate a entrare in silenzio in un paese e trovare le armi
nucleari, e disinnescarle se necessario - hanno preparato piani per un'eventuale
azione in Pakistan. Non per nulla in parecchie riprese i governanti di
Islamabad hanno detto e ripetuto che le armi nucleari pakistane sono perfettamente
sotto controllo...
La scienza islamica
L'altra questione è se la rete
Al-Qaida abbia davvero messo le mani su armamenti nucleari (e chimici),
e in tal caso se la fonte siano davvero i due scienziati pakistani. La
risposta, almeno provvisoria, sembra negativa - nonostante le dichiarazioni
di Osama in quella famosa intervista. Abbiamo raccolto ipotesi diverse
sulla figura professionale del più anziano dei due, Mahmood: pare
che sia stato emarginato dalla ricerca di punta perché come ingegnere
nucleare non era poi tanto brillante. O meglio: era stato uno scienziato
competente, prima di prendere una strana piega mistico-fondamentalista:
pubblicava articoli su come usare i jinn, gli spiriti di fuoco evocati
nel Corano, per risolvere i problemi energetici mondiali: "E lo diceva
sul serio, non era una battuta - ci aveva detto qualche giorno fa Abdul
Hamid Nayyar, fisico teorico all'Università Qaid-e-Azam (l'università
statale) di Islamabad e militante pacifista - Prendeva alla lettera tutto
ciò che è scritto nel libro, un vero fondamentalista". Erano
i tempi del generale Zia ul-Haq, ricorda Nayyar, che sponsorizzava generosamente
ogni iniziativa tendente a esaltare l'islam. Dunque perché no la
"scienza islamica", con grande dispendio di fondi per conferenze in cui
persone del calibro di Mahmood presentavano lavori sulla "misura della
velocità del paradiso"... Mahmood è stato un alto funzionario,
primo direttore del laboratorio da cui sarebbe poi uscita la bomba pakistana:
ma ne è stato allontanato prima che il programma atomico militare
raggiungesse qualche risultato concreto (ormai sotto la guida di un altro
scienziato, Abdul Qadir). E' rimasto un fervente fautore della "bomba islamica":
e nel 1998, quando il Pakistan ha condotto i suoi test nucleari nel deserto
del Baluchistan, Mahmood ha scritto commenti sui giornali per sostenere
che Islamabad non deve firmare il Trattato per la messa al bando dei test
nucleari (Ctbt, Comprehensive Test Ban Treaty). Il Pakistan non ha mai
firmato quel trattato, né l'ha firmato l'India che aveva condotto
test nucleari nel maggio del '98, una settimana prima del Pakistan.
Ma le professioni di fede o le velleità
islamiste non bastano a dire che Osama bin Laden abbia la bomba atomica,
né che i due scienziati gliel'abbiano passata. Secondo diversi esperti,
i due scienziati non sarebbero in grado di passare un'arma nucleare a chicchessia.
Senza contare che una bomba nucleare è un ordigno complesso, ci
aveva fatto notare il professor Nayyar, con un nucleo attorno a cui bisogna
assemblare un sistema di detonazione che provochi l'implosione del nucleo
e inneschi la reazione nucleare: seppure Osama avesse potuto contrabbandare
in Afghanistan il plutonio arricchito necessario, difficilmente potrebbe
avere un ordigno in forma compiuta. Né è credibile che una
bomba pakistana, bella fatta e assemblata, sia stata "persa di vista" e
sottratta all'arsenale nazionale, dice Nayyar. Del resto, tra i documenti
di Al Qaida emersi nei giorni scorsi dalle macerie di Kabul si troverebbe
- pare - la prova che la rete di Osama bin Laden cercava di procurarsi
armi nucleari, ma non che sia riuscita nell'intento.
Frontiere sigillate
Per il momento Osama preoccupa più
che altro come presenza fisica, in Pakistan. Nella citata intervista alla
tv pakistana, Musharraf ha ammesso che il capo di Al Qaida potrebbe tentare
di passare il confine. Ieri funzionari governativi hanno confermato che
la sicurezza ai confini è stata rafforzata proprio per impedire
che Osama, braccato dalle forze speciali Usa, entri in Pakistan. Funzionari
governativi parlano di "frontiere sigillate", e di militari, guardie di
confine e polizia delle zone tribali in allerta ventiquattr'ore su ventiquattro.
Per ora, l'unico effetto visibile è al posto di frontiera di Chaman,
in Baluchistan, sulla strada che da Kandahar scende a Quetta: lunedì
sera otto Taleban entrati in Pakistan insieme al quotidiano gruppo di sfollati
sono stati respinti. Più difficile sarà respingere le immagini
che arrivano dall'Afghanistan, la repressione della rivolta di Mazar-i-Sharif,
i pakistani (e arabi) massacrati dall'Alleanza del nord: imagini che suscitano
un'ondata di indignazione in Pakistan: e non solo tra i fondamentalisti
talebani.