IL MANIFESTO MARZO
2002
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/ultimo/0203lm06.01.html
LA GRANDE MENZOGNA
DELLE «GUERRE PULITE»
La realtà
delle armi all'uranio impoverito
Golfo, Kosovo, Afghanistan: di guerra in guerra, l'esercito americano continua a perfezionare le sue armi all'uranio impoverito. Il pericolo per gli esseri umani e per la natura diventa sempre più evidente, malgrado il black-out organizzato dal Pentagono
di ROBERT JAMES PARSON *
«La preoccupazione immediata di
medici, rappresentanti delle organizzazioni umanitarie e di chi dà
lavoro agli esuli sul posto è la minaccia di una vasta contaminazione
da uranio impoverito in Afghanistan.» Con queste parole si conclude
un rapporto di ben 130 pagine intitolato Mystery Metal Nightmare in Afghanistan?
- «Incubo da metallo misterioso in Afghanistan?» - (1), di
Dai Williams, ricercatore britannico indipendente e psicologo specialista
in condizioni del lavoro. Il testo è frutto di oltre un anno di
ricerca tenace sulla questione dell'uranio impoverito (Ui), sugli effetti
e le conseguenze del suo utilizzo sugli esseri umani.
Basandosi su siti web ufficiali (2) e
su quelli dei fabbricanti d'armi, Dai Williams ha potuto scovare informazioni
preziose, analizzarle minuziosamente e infine metterle a confronto con
le armi la cui utilizzazione è stata comunicata, anzi vantata, dal
Pentagono. Ne emerge una visione della guerra - sia quella in Afghanistan
che quelle prossime venture - sorprendente e spaventosa al tempo stesso.
Dal 1997, gli Stati uniti rielaborano
e «migliorano» il loro arsenale di missili e di bombe guidate
e «intelligenti». Già nel 1999 alcuni prototipi di queste
armi sono stati testati sulle montagne del Kosovo, ma la quantità
sperimentata in Afghanistan è ben più corposa. Il «miglioramento»
di cui si parla riguarda in effetti la sostituzione di una testata convenzionale
con una in «metallo pesante denso» (3).
Calcolando volume e peso del misterioso
metallo, si arriva a due possibili conclusioni: si tratta o di tungsteno
o di uranio impoverito.
Il tungsteno, tuttavia, pone alcuni problemi.
Il suo alto punto di fusione (3.422°C) lo rende difficile da lavorare;
costa caro; è prodotto soprattutto in Cina; non brucia.
Da vero piroforo, l'Ui invece brucia con
l'impatto o se gli si dà fuoco. Con un punto di fusione di 1.132
°C è molto più facile da lavorare. Trattandosi di uno
scarto nucleare, è fornito gratuitamente ai fabbricanti d'armi.
Inoltre, il fatto che lo si possa utilizzare in una vasta gamma di armi
permette di ridurre sensibilmente il problema della conservazione dei rifiuti
nucleari.
Questo tipo di arma può perforare,
in pochi secondi, decine di metri di cemento armato o di roccia. Una testata
all'Ui, munita di un detonatore regolato da computer in grado di misurare
la densità del materiale penetrato, diventa una carica esplosiva
che scoppia ad una profondità prestabilita o quando arriva nel «vuoto».
In pochi secondi, tutto ciò che si trova in questo «vuoto»
viene ridotto allo stato di fine polvere nera per la combustione dell'Ui.
E questo si trasforma a sua volta in polvere di ossido di uranio. Mentre
per un «penetratore» da 30 millimetri si ossida solo il 30%
dell'Ui, nel caso di un missile l'ossidazione può arrivare al 100%.
E la maggior parte delle polveri così prodotte misura meno di 1,5
micron: sono quindi respirabili.
La polemica apertasi tra i pochi ricercatori
specializzati in questo settore circa l'uso di armi all'Ui nel corso della
guerra del Kosovo, nel tempo aveva finito col perdere di vista il suo obiettivo.
Invece di chiedersi quali armi sarebbero state utilizzate sulla maggior
parte dei bersagli (sotterranei in montagna) ammessi dalla Nato, era stata
privilegiata la questione degli anticarro da 30 mm accettati dalla Nato,
ma privi di effetto contro le installazioni sotterranee fortificate/rinforzate.
Finché il dibattito si è
limitato agli anticarro, si stava comunque parlando di ordigni di cui i
più pesanti (da 120 mm) non superano i cinque chili. Ma le cariche
esplosive all'Ui, dei sistemi di bombe guidate utilizzate in Afghanistan,
arrivano fino ad una tonnellata e mezza di Ui nel caso del bunker buster
(Gbu-28) fabbricato dalla Raytheon (4).
A Ginevra, dove sono concentrate le organizzazioni
umanitarie attive in Afghanistan, il rapporto di Dai Williams ha suscitato
reazioni molto diverse. Mentre i portavoce dell'Alto commissariato delle
Nazioni unite per i rifugiati (Acnur) e l'Organizzazione per il coordinamento
degli aiuti umanitari si sono preoccupati di diffonderlo, i principali
dirigenti non sono sembrati preoccupati. Solo Medici senza frontiere e
il Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep) temono, a lungo
termine, una catastrofe sanitaria e ambientale.
L'Unep e l'Organizzazione mondiale della
sanità (Oms) hanno pubblicato, rispettivamente in marzo e in aprile
2001, importanti rapporti. A questi fanno continuo riferimento i sostenitori
del carattere inoffensivo dell'Ui, primo fra tutti il Pentagono, il quale
sottolinea l'indipendenza e la neutralità delle due organizzazioni.
Ma lo studio dell'Unep è quanto meno incompleto, mentre quello dell'Oms
decisamente poco affidabile.
Il sopralluogo in Kosovo a partire dal
quale l'Unep ha elaborato la sua analisi è stato organizzato sulla
base di carte fornite dalla Nato, le cui truppe accompagnavano i ricercatori
per proteggerli dalle munizioni inesplose, incluse le parti residue delle
bombe a frammentazione. Con ogni probabilità, erano queste - ha
scoperto Dai Williams - a contenere cariche vuote all'Ui. Le truppe Nato,
impedendo ogni contatto dell'équipe con questi residui, non le avrebbero
dunque permesso di scoprirne l'esistenza.
Tanto più che - come si è
saputo - nel corso dei sedici mesi precedenti la visita dell'Unep, il Pentagono
aveva inviato nella zona almeno dieci équipe di controllo, che avevano
lavorato duramente per fare pulizia (5). Sugli 8.122 «perforanti»
anticarro tirati sui siti visitati, l'Unep ne ha recuperati solo undici,
malgrado un tasso piuttosto elevato di esplosioni mancate. E la quantità
di polveri prelevate direttamente nei punti che si riteneva fossero stati
colpiti da queste armi, a diciotto, venti mesi di distanza dalla loro utilizzazione,
è risultata molto scarsa.
«Zone di sacrificio nazionale»
Quanto all'Oms, non ha condotto alcuno studio epidemiologico degno di questo
nome, ma una semplice ricerca accademica. Cedendo alle pressioni dell'Agenzia
internazionale per l'energia atomica, si è limitata a studiare l'Ui
come metallo pesante chimicamente contaminante.
Informata, nel gennaio 2001, dell'imminente
pubblicazione di un articolo di fondo che metteva in discussione il suo
silenzio (6), l'Oms ha organizzato una conferenza stampa per annunciare
la creazione di un fondo, dotato inizialmente di due milioni di dollari
- e a breve termine di venti milioni - , per la ricerca sull'Ui. Secondo
il dottor Michael Repacholi, il rapporto sull'argomento, in cantiere dall'agosto
1999 e affidato al geologo britannico Barry Smith, si sarebbe esteso al
problema della contaminazione radioattiva. Gli studi preliminari, a suo
dire, avrebbero comportato analisi delle urine di persone esposte all'Ui,
condotte in modo da stabilire il livello di esposizione.
Ma la «monografia» in questione,
resa pubblica una decina di settimane più tardi, non era altro che
una panoramica di una selezione della letteratura esistente. Delle centinaia
di migliaia di monografie, pubblicate dalla fine della seconda guerra mondiale,
che avrebbero dovuto essere studiate, il rapporto prendeva in considerazione
- con poche eccezioni - solo quelle riguardanti la contaminazione chimica.
Sulla contaminazione radioattiva erano
stati consultati pochissimi articoli e tutti provenienti dal Pentagono
o dalla Rand Corporation, fonte ispiratrice del Pentagono. In queste condizioni,
non stupisce che il testo non abbia suscitato alcuna preoccupazione.
Le raccomandazioni dei due rapporti, poi,
si limitavano a richiamarsi al buon senso, senza discostarsi dai consigli
già formulati dall'Oms dopo la fine della guerra - e ripetuti costantemente
dalle organizzazioni umanitarie attive sul campo. Si raccomanda, per esempio,
di marcare i siti conosciuti, di raccogliere nella misura del possibile
i perforanti anticarro, di stare particolarmente attenti ai bambini per
evitare che si avvicinino ai siti contaminati, di sorvegliare, eventualmente,
l'acqua di alcuni pozzi, ecc.
L'essenza del problema si riassume in
due punti chiave: ¥ la radiazione emessa dall'Ui costituisce una minaccia
per l'organismo in quanto, una volta inalate le polveri, diventa una fonte
interna.
Ma le norme di protezione internazionale
contro le radiazioni - a cui fanno riferimento gli «esperti»
per affermare che l'Ui è inoffensivo - trattano solo di radiazioni
di provenienza esterna; ¥ la questione dell'«uranio sporco»,
che il rapporto dell'Unep ha il merito di avere sollevato. In effetti,
l'uranio delle centrali nucleari, ritrattato per essere utilizzato come
munizione, contiene molti elementi altamente tossici come, per esempio,
il plutonio.
Con 1,6 kg di questa sostanza si potrebbero
uccidere otto miliardi di persone. Più che di uranio impoverito,
sarebbe quindi più giusto parlare di «uranio plus».
In un documentario presentato da Canal
+ nel gennaio 2001 (7), un'équipe di ricercatori francesi ha presentato
i risultati di un'inchiesta condotta nella fabbrica di ritrattamento di
Paducah, nel Kentucky.
Secondo l'avvocato dei circa 100.000 querelanti,
operai in servizio e in pensione, tutti contaminati per flagrante inosservanza
delle più elementari norme di sicurezza, l'intera fabbrica e tutta
la sua produzione è irreparabilmente contaminata. Secondo gli investigatori,
proprio da questa installazione proverrebbe l'Ui dei missili lanciati su
Jugoslavia, Afghanistan e Iraq (8).
Queste armi rappresentano molto più
che un nuovo strumento per guerre moderne. Il programma di riarmo americano,
lanciato dal presidente Ronald Reagan, si basa sulla convinzione che il
vincitore dei nuovi conflitti sia quello che distrugge più efficacemente
i centri di comando e di comunicazione del nemico. Ma questi si trovano
quasi sempre sotto terra, in bunker rinforzati.
Certo, un bombardamento nucleare potrebbe
avere ragione del cemento armato, ma produrrebbe radiazioni che lo stesso
Pentagono definisce spaventose e avrebbe poi pesanti ricadute sulle relazioni
pubbliche, in un mondo sempre più sensibile ai pericoli di una guerra
nucleare.
Appare allora più consono il ricorso
ad una testata all'Ui, dal momento che scatena solo un incendio, incomparabile
con le conseguenze di un'esplosione nucleare, ma con una potenza distruttrice
altrettanto forte.
Le informazioni raccolte da Dai Williams
dimostrano che gli Stati uniti, dopo aver compiuto test su computer nel
1987 (9), hanno sperimentato per la prima volta questi ordigni nel 1991,
contro Baghdad. La guerra nel Kosovo ha poi dato loro la possibilità
di provare le armi all'Ui, prototipi o già in produzione, su bersagli
di estrema durezza. L'Afghanistan permetterà di estendere e prolungare
questi studi.
Ma anche all'interno del Pentagono non
tutto è chiaro. Dai Willliams cita molti articoli usciti sulla stampa
all'inizio di dicembre (10) che parlano di équipe Nbc (nucleare-biologico-chimico)
mandate sul campo per verificare eventuali contaminazioni. Queste, secondo
gli Stati uniti, sarebbero imputabili ai taliban, ma, sin dall'ottobre
2001, i medici afghani, di fronte ad alcune morti rapide, apparentemente
dovute a disturbi interni, accusano la coalizione di utilizzare armi chimiche.
I sintomi evidenziati (emorragie, difficoltà respiratorie, vomito)
fanno pensare ad una contaminazione radioattiva.
Il 5 dicembre 2001, quando una bomba colpisce
malauguratamente alcuni soldati della coalizione, tutti gli inviati dei
media sono immediatamente prelevati e rinchiusi in un hangar. Secondo il
Pentagono, si trattava di una Gbu-31 armata con una testata Blu-109. Nel
documentario di Canal +, viene intervistato il rappresentante di un fabbricante
d'armi presente alla fiera internazionale delle armi tenutasi a Dubai il
14 novembre 1999, dopo la guerra del Kosovo. Costui presenta la testata
Blu-109 e descrive le sue capacità di penetrazione contro bersagli
sotterranei fortificati e rinforzati, precisando che l'arma era stata appena
testata in una guerra...
Il 16 gennaio scorso, il segretario americano
alla difesa, Donald Rumsfeld, ha ammesso che gli Stati uniti hanno trovato
tracce di radioattività in Afghanistan (11). Ma ha garantito che
si trattava solo di testate all'Ui, senza dubbio appartenenti ad al Qaeda,
senza tuttavia spiegare come questa organizzazione, sprovvista d'aerei,
abbia potuto lanciarle. Su questo punto Dai Williams conferma che, anche
se la coalizione non si fosse assolutamente servita di armi all'uranio
impoverito, quelle utilizzate dal gruppo di Osama bin Laden rappresenterebbero
da sole una notevole fonte di contaminazione, soprattutto se provenienti
dalla Russia: in questo caso, l'Ui potrebbe essere addirittura più
«sporco» di quello di Paducah.
A seguito delle sue inchieste nei Balcani,
l'Unep ha creato una unità di valutazione dopo - conflitto, il cui
direttore Henrik Slotte si dichiara pronto ad intervenire sul campo in
Afghanistan appena possibile, a condizione che la sicurezza sia sufficientemente
garantita, l'accesso alle zone interessate assicurato e l'operazione convenientemente
finanziata. L'Oms, al contrario, si è chiusa in mutismo totale.
Alle domande rivolte a Jon Lidon, portavoce della direttrice generale Gro
Harlem Brundtland, sullo stato del fondo per la ricerca sull'Ui, l'organizzazione
non si è degnata di rispondere.
Secondo Dai Williams, però, gli
studi epidemiologici dovrebbero cominciare immediatamente, per evitare
che chi ha subito esposizioni massicce muoia e il suo decesso sia attribuito
al rigore dell'inverno in un paese appena uscito da due decenni di guerre.
Nella contea di Jefferson (Indiana), il
Pentagono ha chiuso un poligono di tiro di circa 80 ettari dove un tempo
testava obici all'Ui. Il preventivo più basso per bonificare la
zona ammonta a 7,8 miliardi di dollari - senza contare lo stoccaggio perenne
di uno spessore di sei metri di terra e la vegetazione da eliminare. Ritenendo
il prezzo troppo alto, l'esercito ha cercato altre soluzioni e ha infine
deciso di offrire il terreno al servizio dei parchi nazionali per crearvi
una riserva naturale, offerta che è stata rifiutata. Ora si dice
che l'ex poligono di tiro sarà riconosciuto «zona di sacrificio
nazionale» con conseguente divieto di accesso in eterno! Ecco una
notizia che chiarisce quale sarà il futuro delle diverse zone del
pianeta in cui gli Stati uniti hanno utilizzato e utilizzeranno armi all'uranio
impoverito.
note:
* Giornalista, Ginevra.
(1) www.eoslifework.co.uk/du2012.htm
(2) I siti web di Janes Defense Information
(www.janes.com), della Federation of American Scientists (www.fas.org),
del Centre for Defense Information (ww.cdi.org).
(3) Vedere www.fas.org/man/dod-101/sys/
smart/hdbtdc.htm
(4) Vedere www.fas.org/man/dod-101/sys/
smart/ e www.usatoday.com/graphics/news/gra/ gbuster/ frame.htm
(5) Chronology of environmental sampling
in the Balkans, www.deploymentlink.osd.mil/ du_balkans
(6) «Silenzi e menzogne sull'uranio
impoverito», Le monde diplomatique/il manifesto, febbraio 2001.
(7) La Guerre radioactive secrète di Martin Meissonnier, Roger Trilling, Guillaume d'Alessandro e Luc Hermann, l'inchiesta presentata nel febbraio 2000, è stata attualizzata e trasmessa nuovamente nel gennaio 2001 con il titolo L'Uranium appauvri, nous avons retrouvé l'usine contaminée, di Roger Trilling e Luc Hermann.
(8) Si legga Naïma Lefkir Lafitte e Roland Lafitte, «Armi radioattive contro il "nemico iracheno"», Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 1995.
(9) The Use of Modeling and Simulation
in the Planning of Attacks on Iraqi Chemical and Biological Warfare Targets:
www.gulflink.osd.mil/aircampaign
(10) Si legga in particolare «New
Evidence is Adding to US Fears of Al-Qaida Dirty Bomb», International
Herald Tribune, 5 dicembre 2001; «Uranium Reportedly Found in Tunnel
Complex», USA Today, 24 dicembre 2001.
(11) U.S. Says More Weapons Sites Found
in Afghanistan, Reuters, 16 gennaio 2002.
(Traduzione di G. P.)