IL MATTINO - 22/11/2001
http://www.ilmattino.it/hermes/20011122/NAZIONALE/SPECIALI/CENTRO.htm
 

L’INTERVISTA

«Questa è una guerra alla cieca»
Lo storico Ginsborg critica la mancanza di riflessione e l’assenza di aiuti umanitari

TOMMASO DEBENEDETTI
 

«L’Italia e gli altri Paesi occidentali dovrebbero porre meno enfasi sull’invio delle truppe o sugli scontri militari, e pensare di più all’aspetto umanitario, alla soluzione di quelle tragiche disuguaglianze fra Stati ricchi e Stati poveri che sono il vero problema cruciale del mondo di oggi». Paul Ginsborg, il grande storico inglese che da tempo vive a Firenze ed è uno dei massimi studiosi delle vicende dell’Italia contemporanea, non risparmia le sue critiche all’atteggiamento tenuto dagli Usa e dai loro alleati nelle ultime settimane.

Professor Ginsborg, quale è il suo giudizio sull’intervento italiano nella guerra contro il terrorismo?
«Mi sarei aspettato, da parte del governo italiano, un comportamento diverso. L’Italia non è una grande potenza militare, mentre potrebbe fare moltissimo in ambito umanitario. Invece, si è preferito dare grande enfasi all’invio delle truppe, alla partenza dei soldati verso le zone di guerra, si è voluto porre orgogliosamente l’accento sul fatto che gli Stati Uniti avevano acettato la collaborazione dell’esercito italiano».

In che cosa avrebbe dovuto consistere, secondo lei, l’azione dell’Italia in campo umanitario?
«Non solo nell’invio di aiuti alle popolazioni afghane. L’Italia, proprio per il suo ruolo di Paese situato fra l’Europa e l’area mediterranea, fra mondo occidentale e Paesi arabi, dovrebbe sottolineare con più forza e concretezza, anche nella sua azione politica e diplomatica, la necessità di risolvere il dramma del mondo attuale: cioè un Occidente che consuma risorse ma ha una politica redistributiva e di cooperazione allo sviluppo assolutamente inefficiente. Questa guerra ha mostrato che tale problema va affrontato senza più indugi!».
Come valuta la politica degli Stati Uniti in queste settimane?
«È mancata del tutto, fin dall’11 settembre, ogni riflessione sulle cause di questa spaventosa escalation del terrorismo. Ci sono state una corsa alla sicurezza e una volontà di vendetta che davvero hanno prevalso su qualunque atteggiamento razionale. Io comprendo gli americani: indubbiamente quanto è stato fatto alle Torri gemelle è tremendo, spaventoso, e la reazione psicologica di gran parte della popolazione non poteva non essere questa. Ma l’Amministrazione Bush avrebbe dovuto agire con più moderazione: e invece ha mostrato di dar retta soprattutto a quell’America profonda, presente ad esempio in certi Stati del sud del Paese, che chiedeva con rabbia bombe e massacri. Si è arrivati, in certi casi, a dichiarazioni che rasentano la follia».
Quali?
«Penso a quella di Rumsfeld che ha detto “non escludo l’uso di armi nucleari contro i terroristi”. Parole come queste peggiorano in modo tremendo la situazione e mostrano un atteggiamento a dir poco irresponsabile».
Mi sembra che molte delle sue opinioni coincidano con le tesi dei pacifisti...
«No, non sono un pacifista. Purtroppo, se ci si fosse affidati, negli anni Trenta e Quaranta, al pacifismo, Hitler non sarebbe stato sconfitto e forse il nazismo sarebbe ancora fra noi. Non sto dicendo che bisognava lasciar prosperare tranquillamente il terrorismo, senza combatterlo o cercando solo di limitarsi a operazioni diplomatiche o di intelligence. Entro una certa misura, l’uso della forza contro i terroristi era giusto. Ma occorreva, e occorre, un senso di limite, un equilibrio che è mancato e sta mancando. Bisognava bilanciare la necessaria violenza con una discussione attenta e concreta sul futura di tutta l’area medio-orientale e centro-asiatica. Ecco: la riflessione, la ponderazione, avrebbero evitato, ed eviterebbero, di agire alla cieca».