Bosnia,
i carabinieri della Sfor stroncano un traffico di materiale radioattivo
Volevano
costruire un ordigno nucleare
di
GUIDO ALFERJ
Un pesante contenitore metallico piombato
e, all’interno, pericolosissimo materiale radioattivo. Sufficiente, forse,
a costruire una bomba nucleare. I carabinieri italiani inquadrati nella
Sfor, la forza multinazionale di pace in Bosnia, hanno messo le mani su
un misterioso traffico destinato quasi certamente a dotare gruppi terroristici
di ordigni nucleari. E Sarajevo, dopo i recenti allarmi dovuti alla scoperta
di cellule di Al Qaeda, si rivela così ancora una volta crocevia
del terrorismo internazionale, porto franco di movimenti estremisti di
ogni tipo. Il materiale radioattivo sequestrato ieri nel corso di un’operazione
condotta dai carabinieri italiani in collaborazione con la polizia di Sarajevo,
era in possesso di alcuni cittadini bosniaci (tre, forse quattro «insospettabili»,
gente senza perecedenti, tutti oltre i cinquant’anni di età) di
etnia croata. Gli «insospettabili», già arrestati, conservavano
il contenitore (di dimensioni ridotte, ma pesante più di cinquanta
chili) in un appartamento di Kiseljak, cittadina a circa 35 chilometri
da Sarajevo, abitata in prevalenza appunto da croati e si apprestavano
a venderlo ad alcune persone che loro stessi avevano contattato nelle ultime
settimane. I carabinieri dell’Msu (unità specializzata multinazionale)
avevano già notato alcuni movimenti sospetti e controllavano da
diversi giorni le abitazioni dei tre cr oati): sono entrati in azione nel
momento in cui il materiale radioattivo stava per lasciare Kiseljak, ma
non sono riusciti a bloccare gli «acquirenti», coloro che probabilmente
avevano il compito di prelevare il contenitore per poi consegnarlo ai misteriosi
destinatari.
L’operazione - che è stata confermata
dai portavoce della Nato e dell’Onu, oltre che dal capo della polizia bosniaca,
Midhat Zubac - è stata condotta con estrema riservatezza e ancora
ieri sera conoscere i particolari degli arresti era impossibile. Il comandante
dell’Msu, il colonnello Saverio Cotticelli, che da oltre sette mesi guida
il reggimento di quattrocento carabinieri e che ha già al suo attivo
numerose operazioni di polizia, ha la bocca cucita. Non parla e non parlano
i suoi principali collaboratori. Prima di dire qualcosa di definitivo su
questo vero e proprio giallo internazionale, tutti attendono evidentemente
l’esame del materiale che si trova all’interno del contenitore, verifica
che verrà fatta oggi da alcuni tecnici militari italiani che in
nottata hanno già raggiunto Sarajevo.
Alcune radio locali sostenevano ieri sera
che le autorità di polizia bosniache sospettano che il materiale
sequestrato sia in grado di «costruire una bomba nucleare tattica»
e che altri contenitori potrebbero essere già stati spediti fuori
della Bosnia. Da Belgrado, invece, ex ufficiali dell’esercito (quelli dell’
Armata federale di Tito), tendono a ridimensionare la vicenda: nei depositi
militari di tutta la ex Jugoslavia - dicono - c’era sì del materiale
radioattivo, ma non in grado di realizzare la bomba. «Al massimo
- ha detto un generale in pensione - si possono produrre proiettili di
artiglieria».
Ma l’allarme è comunque grande.
La presenza in Bosnia di estremisti islamici legati a Bin Laden, la conferma
dell’esistenza di campi di addestramento di Al Qaeda, le minacce di attentati
di un mese fa contro le ambasciate degli Usa e di alcuni paesi europei
e, infine, la simpatia con cui in passato molti politici bosniaci accoglievano
mujaheddin (giordani, algerini, kazakhi, ma anche afghani) che si arruolavano
come volontari nell’esercito, non fa dormire sonni tranquilli ai ventimila
uomini della Nato che vigilano ancora sulla Bosnia. Nè può
ridurre l’allarme il fatto che il materiale radioattivo fosse in possesso
di cittadini di etnia croata, da sempre in quest’area poco inclini a stringere
accordi con i musulmani. Ma gli «affari», specialmente qui,
non hanno colore, la malavita organizzata è pronta a tutto, anche
a fornire armi nucleari ai suoi storici nemici.