Il Nuovo 20/02/2002
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Terrorismo, scatta l'allarme "Bravo"
 

Il Viminale attiva i dispositivi di sicurezza negli "obiettivi sensibili" d'Italia dopo il fermo di quattro nordafricani a Roma. Ma i servizi segreti temono, soprattutto, possibili attentati di matrice palestinese.
 di Gianni Cipriani
 
ROMA- L’ambasciata americana ha pubblicamente ringraziato; dal governo sono arrivate parole di elogio. Ma a più di 24 ore dal fermo dei quattro marocchini sospettati di avere in progetto un attentato contro la sede diplomatica Usa di via Veneto, le certezze sono ancora poche, anche se il clima di tensione che si respira dopo l’11 settembre, la guardia alta che viene mantenuta in tutto il mondo per scongiurare le possibili vendette degli uomini di al-Qaeda, hanno trasformato quella che al momento è un’ipotesi investigativa in una certezza.

Tant’è che, a ben guardare, nonostante le nuove e più severe norme contro il terrorismo internazionale che hanno dato nuovi strumenti a forze di polizia e carabinieri, i quattro sono al momento solamente in stato di fermo con l’accusa di ricettazione del composto di cianuro. Segno evidente che, al momento, parlare di un loro collegamento con il gruppo di Bin Laden ovvero di una appartenenza agli alleati dello sceicco saudita del "gruppo salafita per la predicazione e il combattimento" è solo un’illazione.

Certo, sostengono ufficiosamente gli inquirenti, un conto è la doverosa attivazione del dispositivo di sicurezza in presenza di una segnalazione precisa o di un sospetto fondato; un altro è avere la prova certa dell’appartenenza di una persona a un gruppo terroristico, ovvero la prova che questo gruppo stesse progettando una strage. Nel primo caso bisogna subito correre ai ripari, senza aspettare un solo istante. Nel secondo, dopo il fermo dei sospetti, bisogna indagare rispettando le garanzie e le regole del giusto processo. Che vanno applicate a tutti, senza distinzione. Né si può affermare che una persona, solo perché sotto indagine per un reato di terrorismo o perché arabo, possa avere un trattamento diverso da un altro indagato.

E infatti immediatamente dopo i fermi il sistema di sicurezza è stato immediatamente rafforzato, portato a un livello di attenzione "bravo", ossia intermedio. Tutti gli obiettivi sensibili già segnalati dai piani predisposti dopo l’11 settembre sono guardati con maggior attenzione, nelle strutture militari è stata rafforzata la guardia mentre, più banalmente, a Roma la presenza di polizia e carabinieri in via Veneto, dove c’è la sede dell’ambasciata statunitense è stata letteralmente raddoppiata, come hanno potuto vedere tutte le persone.

Dall’altro lato sono cominciate le indagini nei confronti dei quattro, a cominciare dalla loro presunta appartenenza alla rete di Al Qaeda. A quanto pare, i funzionari dell’Fbi di stanza a Roma hanno già preso contatti con gli inquirenti italiani, e anche una serie di segnalazioni sono partite attraverso l’Interpol e la costituenda procura europea, nel tentativo di far emergere eventuali dati che possano aiutare a dare una spiegazione alla presenza dei quattro a Roma.

Si indaga senza sosta, insomma. Anche se, come detto, certezze non esistono. La stessa ipotesi di un tentativo di avvelenamento dell’acqua che arriva nei rubinetti dell’ambasciata non è poi così certa. Il composto di cianuro ritrovato non è poi così nocivo, soprattutto se diluito nell’acqua. I marocchini, inoltre, non sembra avessero nella loro disponibilità un piccolo o anche artigianale laboratorio chimico per lavorare sul composto e renderlo mortale. Ma nessuna ipotesi viene esclusa. Nemmeno quella che i carabinieri siano intervenuti mentre il piano era nella sua fase embrionale di preparazione.

Quindi? Al di là dell’enfasi e della legittima soddisfazione per aver bloccato quattro persone che, comunque, avevano in mente qualcosa di poco chiaro, tra gli inquirenti c’è molta più prudenza. Perché a distanza di mesi dall’11 settembre, anni dopo l’offensiva fondamentalista prima in Francia, poi di Bin Laden contro gli obiettivi americani nel mondo, le conoscenze sul terrorismo islamico continuano ad essere poche. E non manca la confusione. Come l’idea che al-Qaeda possa essere una sigla terroristica, mentre in realtà è una sorta di "confederazione" del terrore che non ha in Bin Laden il capo assoluto, quanto piuttosto il simbolo. Spesso le informazioni sono confuse, approssimative. La collaborazione tra le polizie, i servizi segreti non è poi così soddisfacente, nonostante la proclamata guerra contro il terrorismo, mentre nei paesi arabi si scontano ancora molti ritardi, con la parziale eccezione dell’Algeria, che ha sempre fornito ai paesi europei, in primo luogo Francia e Italia le informazioni necessarie per individuare gli elementi del Gia e dei gruppi che sono sorti dopo la sua scissione.

Tra i tanti dubbi, una certezza: informative dei servizi segreti occidentali hanno fatto sapere che, al di là di Bin Laden, se non accadrà nulla tra breve in Europa potrebbe arrivare un’ondata di terrorismo di matrice palestinese. O meglio: di fondamentalisti che intendono richiamare la causa palestinese. In questa situazione di grave conflitto, di delegittimazione dell’Anp, di disgregazione del nascente stato, c’è chi preme per esportare il conflitto in Europa. Un modo per costringere la Ue, giudicata sostanzialmente inerte, a fare davvero qualcosa e non lasciare che le speranze di pace vengano sepolte dai raid di Sharon. Insomma, secondo l’intelligence, ci sono gruppi che di fronte ad uno scenario assai simile a quello sanguinoso degli anni Settanta, pensa che per uscire dalla crisi e ottenere aiuti sia necessario riportare anche in Europa quel periodo buio.