Giovedì 17
gennaio 2002
http://www.opinione.it/3.commenti/archivio_commenti/2002/14-01_20-01/17-01-02_bonanni.htm
Le
cellule di Bin Laden di Maurizio Bonanni
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Che fine ha fatto il ricercato N. 1 del
mondo? Probabilmente, ha deciso di condividere lo stesso destino del Ricercato
N. 2, il Mullah Omar. Che tra i due vi fosse piena sintonia, durante il
regno dei Talebani, è un dato di fatto. Non sempre, però,
lo stare insieme al potere significa prendere lo stesso aereo (o salire
sulla stessa motocicletta), al momento della fuga. In questo caso, tuttavia,
l’uno interpreta il ruolo del gemello siamese dell’altro, dato che i due
sono legati tra di loro da qualcosa di più di una lunga militanza
comune. Ciò che li unisce, in realtà, è la scelta
ideologica di veder realizzato, su questa terra, un Islam puro, aderente
ai precetti originari. Nella comune lotta per la jihad (la famosa “Guerra
Santa”, contro gli Infedeli), è accaduto che l’uno (il Mullah) divenisse
una creatura dell’altro che, ancora oggi, continua a dettarne le modalità
stesse di sopravvivenza, politica, economica, militare e religiosa.
Valga, per tutti, l’incontro di Bin Laden con un non meglio identificato sceicco (saudita?), in cui il Ricercato N. 1, nel rivendicare i suoi meriti, per l’attentato dell’11 Settembre, si propone anche come guida spirituale dell’Islam integralista. Il resto, la sua supremazia finanziaria e militare, nei confronti del Mullah Omar, è fin troppo nota, per essere commentata ulteriormente. Non sono state, forse, le truppe mercenarie arabe di Bin Laden ad incutere, per sei lunghi anni, il terrore nella popolazione afgana, agendo come guardie pretoriane del regime dei Talebani? E quali casse, se non quelle del saudita, hanno finanziato l’acquisto di armi ed il pagamento degli stipendi dei funzionari religiosi, durante il regime integralista di Kabul? Malgrado che l’epilogo del conflitto afgano abbia consentito di isolare ed imprigionare molti dei seguaci di Bin Laden (alcuni - pochissimi in verità -, anche con passaporto occidentale), il mistero di Al Qaeda (“La Base”, in arabo) rimane intatto. Vediamo di riassumerne il funzionamento, per quello che è dato sapere, in base alle notizie fatte trapelare dall’Intelligence USA.
Al Qaeda, innanzitutto, è costituita, dal punto di vista organizzativo, da una rete di cellule, in cui ognuna fa riferimento, autonomamente, ad un determinato leader carismatico, che non risponde ad una vera e propria catena gerarchica, intesa in senso tradizionale. La direzione della singola cellula procede, pariteticamente, nei due sensi possibili (dall’alto verso il basso, e viceversa). Vediamone il funzionamento pratico, con un esempio concreto: quello relativo alla condotta degli attentati dell’11 Settembre. In sintesi, la parte operativa si può distinguere nelle seguenti fasi: l) le cellule locali di Al Qaeda, infiltrate negli USA, iniziano le operazioni di riconoscimento, selezionando i potenziali bersagli; 2) vengono elaborati, successivamente, i piani di attacco relativi; 3) le cellule inviano, separatamente e senza alcun coordinamento tra di loro, i progetti alla centrale di Al Qaeda, per l’approvazione ed il possibile finanziamento. In generale, militanti di ogni cellula provvedono all’auto-iniziazione, per quanto riguarda le pratiche del terrorismo, e ricorrono, più o meno sistematicamente, all’auto-finanziamento delle proprie attività eversive.
La disseminazione delle cellule di Al Qaeda in ogni parte del mondo (con particolare riferimento all’Europa ed all’Asia) le rende particolarmente temibili, generando non poca incertezza sui loro obiettivi e sul ruolo ricoperto. In alcuni casi di singoli individui, il collegamento effettivo con l’organizzazione di Bin Laden è solo apparente. Alcuni militanti possono, semplicemente, credere di far parte di Al Qaeda - mentre così non è - per sentirsi più forti e sicuri. Si veda, in proposito, il caso del mancato attentatore-suicida, il cittadino inglese Reid, che ha tentato di far precipitare un aereo di linea, in volo da Parigi a Miami, dando fuoco alle scarpe da ginnastica che indossava. Di lui si pensa, a ragion veduta, che sia stato usato come esca, per sondare la tenuta e la consistenza dei nuovi sistemi di sicurezza, per la protezione degli aeroporti e dei voli civili. Chi gli ha fornito l’esplosivo lo ha acquistato, probabilmente, negli stessi ambienti che riforniscono i terroristi suicidi di Hamas, per gli attacchi in territorio israeliano.
La sensazione che, in qualche parte del mondo, al di fuori del devastato Afghanistan, esista una “Leadership-ombra”, in grado di sostituirsi, in ogni momento, al duo Omar-Bin Laden, è avvalorata dagli interrogatori dei prigionieri e dai documenti filmati, provenienti dalle basi afgane di Al Qaeda. I talebani rinchiusi nella base cubana di Guantanamo, infatti, non hanno offerto informazioni utili, trattandosi di “bassa forza”, ovvero di persone sprovvedute, venute dallo Yemen o dall’Arabia Saudita, che sanno ben poco della rete e dei progetti di Al Qaeda. Al contrario, un attento studio dei filmati video-registrati ha consentito all’Intelligence occidentale di arrestare a Singapore ben 15 terroristi islamici e di sventare piani, sul punto di essere resi operativi, per attentati ad Ambasciate occidentali, a navi USA ed a bus utilizzati da personale militare statunitense. Che cosa, quindi, ci dobbiamo aspettare dal futuro? Nient’altro che una saggia amministrazione della follia individuale, che spinge individui invasati a commettere atti terroristici, magari soltanto per il gusto di sentirsi “appartenenti” ad una particolare setta di assassini. Il terrorismo è come i terremoti: una semplice fatalità!
Maurizio Bonanni