Il Piccolo di Trieste 01/12/2001
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Operazione di intelligence vicino a Sarajevo dei militari della Sfor e della polizia locale: arrestati quattro trafficanti croati

I carabinieri bloccano l’atomica dei terroristi

Sequestrati 70 chili di materiale nucleare in due contenitori
con la sigla dell’ex esercito jugoslavo
 

SARAJEVO - Settanta chili di materiale radioattivo. Settanta chili o giù di lì. Tanto pesano i due contenitori, sigillati e perciò privi di emissioni, sequestrati ieri a Sarajevo dai carabinieri della Sfor e dalla polizia bosniaca. Un gruppo di trafficanti croati di Bosnia aveva messo in piedi un commercio ad altissimo rischio di materiale nucleare, ma ieri sono stati fermati. Nel corso dell'operazione sono stati arrestati quattro croati e sono stati bloccati i due contenitori che portano la sigla dell'ex esercito jugoslavo, «Jna».
Per Sasa Radic, uno dei massimi esperti indipendenti serbi in questioni militari, in Bosnia esistevano industrie militari capaci di produrre materiale radioattivo per il «Jna», ma si trattava di elementi non proprio adatti alla costruzione di bombe. Fatto sta che il gruppo individuato dai nostri carabinieri - il sequestro è avvenuto presso Kiselijiak, 30 chilometri a nord di Sarajevo, in un'area abitata in maggioranza da croati di Bosnia - intendeva vendere ai terroristi internazionale il materiale per costruire una bomba nucleare tattica.
E questo non è l'unico allarme in fatto di traffico internazionale di componenti radioattive. Almeno dieci chili di materiale nucleare, uranio 235 e 238, sarebbero stati trafugati nel gennaio scorso - ha raccontato un tecnico italiano - dai depositi congolesi del deposto dittatore Mobutu e negoziati la scorsa primavera tra il Belgio e l'Italia, con destinazione finale Bagdad. Un carico pericolosissimo, visto che l'uranio 235 è arricchito e pronto a un eventuale uso per una dirty bomb. L'Aiea, agenzia delle Nazioni Unite per l'energia atomica, qualche giorno fa è tornata a ripetere che la minaccia di un ricorso a ordigni nucleari per fini terroristici «non è più soltanto una semplice possibilità». Di quel carico arrivato dal Congo si era scoperto anche che il compratore avrebbe potuto scegliere se acquistarlo in barre, un dettaglio curioso che richiama la vicenda delle sette barre di uranio arricchito di fabbricazione americana, finite nelle mani della mafia nel 1998, intercettate a Roma da uomini della Guardia di finanza e quindi scomparse nel nulla del gran calderone dei traffici di armi internazionali.
Delle barre all'uranio ne è saltata fuori una sola, mentre gli undici «venditori» - mafiosi, 'ndranghetisti ed ex banditi della banda della Magliana - l'11 ottobre scorso sono condannati dal tribunale di Catania a pene comprese tra i 2 anni e 1 mese e i 4 anni e 6 mesi di reclusione. Ma dove siano finiti tutti quei chili di uanio che minacciano l'Europa resta un mistero.
Elisabetta Martorelli