La Repubblica VENERDÌ, 07 DICEMBRE 2001
 http://repubblica.extra.kataweb.it/repubblica/servlet/it.alephint.personalizzato.CheckSecurity?Action=Refresh&url=unaselva.html&data=20011207
 
Pagina 45 - Cultura
 
IL FISICO CHE ODIAV LA BOMBA
 
E' MORTO RASETTI
 
 
pensava che la scienza non si doveva vendere
dopo le leggi razziali abbandonò l'italia
 
Scompare a cento anni l'ultimo ragazzo di via Panisperna: vicinissimo a Fermi decise di abbandonarlo quando si trattò di progettare l'atomica
 
FRANCO PRATTICO

 
La sua epigrafe potrebbe essere: «anche la scienza più dura deve avere un'anima». Intendendo per anima un'etica, il rispetto per i principi morali della propria disciplina, la impossibilità a rinunziare ai propri principi, che può portare alcuni protagonisti a infischiarsene degli onori accademici, del successo, dei riconoscimenti pubblici e anche dei relativi guadagni. Uno dei rari esemplari di questa fauna, Franco Rasetti, l'ultimo del mitico gruppo di scienziati che nei primi anni Trenta fecero grande l'Istituto di fisica di via Panisperna a Roma, si è spento l'altro ieri a cent'anni compiuti a Waremme, presso Liegi nel Belgio, dove viveva da una ventina d'anni insieme alla moglie Madeleine.
Rasetti era nato nell'agosto 1901 in Umbria, in una frazione di Castiglione del Lago, in provincia di Perugia. Aveva conosciuto e fatto amicizia con Fermi alla Normale di Pisa, e dopo essersi laureato in fisica nell'università di quella città si trasferì all'ateneo di Firenze, da dove lo chiamò Fermi per realizzare insieme l'Istituto di fisica di via Panisperna a Roma. Rasetti è stato infatti un protagonista di primissimo piano del «gruppo» di via Panisperna, uno dei maestri di quei giovani fisici (Edoardo Amaldi, Emilio Fubini, Emilio Segrè, Ugo Fano, Bruno Pontecorvo, il chimico Oscar D'Agostino, il fisicomatematico Ettore Majorana, etc.) che resero la fisica italiana protagonista degli impetuosi sviluppi della scienza negli anni Trenta.
La scoperta dell'importanza dei neutroni «lenti» per indurre una reazione nucleare, aprendo la strada alla teoria delle interazioni «deboli», che fruttò a Fermi il 1939 il premio Nobel, fu una delle conquiste scientifiche di quel gruppo. Intanto Rasetti — anche su richiesta di Fermi — era stato fatto chiamare dall'allora ministro Orso Mario Corbino, protettore e mecenate dei «ragazzi di via Panisperna», alla cattedra di spettroscopia all'Università di Roma: impegno che non gli impediva di collaborare attivamente col gruppo di Fermi. Guidò anzi alcuni esperimenti di bombardamento di nuclei con neutroni «rallentati» nella paraffina.
Convinto antifascista, Rasetti pur non essendo ebreo rifiutò di rimanere in Italia dopo la promulgazione delle leggi razziali ed espatriò in Canada, dove gli era stata offerta la cattedra di spettroscopia nell'Università di Laval, e mise in piedi un laboratorio per lo studio dei raggi cosmici, ove riuscì a determinare (grazie anche all'uso delle equazioni della relatività) la vita media di effimere particelle, i muoni, nate dalle collisioni dei raggi cosmici di alta energia con gli atomi dell'atmosfera: si deve infatti a lui la definizione dei muoni come «elettroni pesanti», che saranno destinati, sembra, ad avere un ruolo di primo piano nell'energia del futuro. Al tempo stesso Rasetti proclamò pubblicamente la sua avversione a qualsiasi uso militare e distruttivo delle scoperte scientifiche.
Intanto era scoppiata la guerra, e mentre Fermi e alcuni dei suoi compagni di via Panisperna, avevano iniziato a lavorare al «progetto Manhattan» per la bomba atomica, Rasetti, pur invitato, rifiutò di prendervi parte, polemizzando e troncando rapporti anche con alcuni dei suoi amici, affermando che «la fisica non si deve vendere al diavolo». Sarà echeggiato, dopo Hiroshima, da Oppenheimer — che pure aveva diretto e organizzato il «progetto Manhattan» — che dichiarò sconsolatamente dopo la prima esplosione sperimentale, «la scienza ha conosciuto il peccato».
Sconvolto dalla bomba di Hiroshima, Rasetti cominciò a nutrire dubbi sulla stessa disciplina che amava, la fisica, al punto che qualche anno dopo la guerra abbandonò la cattedra di spettroscopia che ricopriva alla John Hopkins University di Baltimora, dove aveva continuato le sue ricerche sui raggi cosmici, e si ritirò in Brasile, dedicandosi a quelle che definiva «scienze storiche della vita», in particolare alla botanica (scoprì tra l'altro nuove specie fino allora ignote di orchidee selvatiche) e alla paleontologia, ossia lo studio della storia della vita sul nostro pianeta.
Per molti suoi colleghi Rasetti era una specie di dinosauro, un grande scienziato, ma con una mentalità «ottocentesca», per il quale la scienza non ha e non deve avere nessuna compromissione non solo con la guerra, ma neppure col potere e l'industria: credeva che unico fine della ricerca fosse la conoscenza della natura (simile in questo a un altro suo grande contemporaneo, l'americano David Bohm, costretto dal maccartismo a fuggire in Inghilterra) e non la creazione di strumenti di potere o di ricchezza. Forse per questo sua atteggiamento, e per il suo pacifismo, Rasetti, nonostante la sua statura scientifica, è stato relativamente ben poco celebrato nelle soffocanti agiografie nazionali.
Ritiratosi a vita privata da alcun decenni, Rasetti aveva proseguito ricerche di botanica e si rifiutava alle cerimonie ufficiali e a ogni tipo di commemorazione e anche ai contatti con i media, che riteneva «troppo chiassosi». Carattere schivo e adamantino, viveva appartato con la sua consorte nel piccolo paese belga che entrambi avevano scelto e dove probabilmente verrà inumata la sua salma. Sparisce con lui l'ultimo grande protagonista di una stagione che aveva visto la scienza italiana conquistare giustamente un ruolo di primo piano sulla scena mondiale.