La Repubblica
(8 novembre 2001)
http://www.repubblica.it/online/mondo/allarmeitalia/investigatore/investigatore.html
Parla l'investigatore
che insegue i rudimentali ordigni
nucleari: "Un
incubo pensarlo in mano ai terroristi"
"La nostra ultima
traccia in un quartiere romano"
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ROMA - "Sette barre di uranio in giro
per l'Italia non sono un pensiero rassicurante con il pericolo del terrorismo
nucleare segnalato dalle intelligence occidentali e addirittura all'opinione
pubblica dal presidente Bush".
Il capitano Roberto Ferroni è un ufficiale del Gico della Guardia di Finanza di Roma. Non ha mai dimenticato le sette barre di uranio arricchito, che ha disperatamente cercato durante una lunga indagine. "Sono sparite nel nulla", dice.
Qualcuno le starà cercando?
"Certo che le stiamo cercando e, come
si può capire, non solo noi della guardia di finanza. Sarebbe irresponsabile
lasciar inesplorata anche la traccia più "fredda". Ma l'uomo che
poteva portarci a quelle barre, Domenico Stilitano, si rifiuta di dare
qualsiasi indicazione. E, del resto, non gli conviene. L'11 ottobre lo
hanno condannato a 4 anni e 6 mesi: le nuove norme antiterrorismo non sono
ancora in vigore e il traffico di materiale strategico è considerato
ancora reato, per così dire, minore".
Cosa significano sette barre di uranio
arricchito sul mercato nero?
"Significano sette "dirty bombs". Sette
bombe sporche. Fabbricarle non è difficile".
Come si fa? E' davvero così facile?
"Purtroppo sì, è molto facile.
E' sufficiente collegare alle barre esplosivo convenzionale o anche, semplicemente,
una bombola del gas. Una volta che le barre sono esplose, comincia la reazione
del materiale fissile, e buonanotte. Faccio un esempio. Se i terroristi
facessero saltare una "bomba sporca" a villa Borghese farebbero poco più
che un largo buco per terra, ma il centro storico di Roma rimarrebbe contaminato
per un secolo. E avremmo solo due alternative: o seppellire l'intera zona
sotto metri e metri di terra, oppure evacuare".
Potrebbero queste sette barre essere finite
nelle mani di Al Qaeda, o di altri gruppi di integralisti islamici?
"Purtroppo non lo sappiamo. Ma posso dire
che quando portammo a termine l'operazione sotto copertura, il nostro uomo,
il "ragioniere", si presentava come intermediario di un Paese arabo. E,
certo, i nostri venditori non si scomposero. Anzi, la credibilità
del mondo arabo, da sempre a caccia di materiale nucleare, li convinse
che il "ragioniere" non era una trappola".
Le sette barre arrivavano dall'Africa.
Da Kinshasa. E in Africa, stando alla testimonianza di un ex uomo di Al
Qaeda, Jamal AlFadl, a metà anni '90, a Khartoum, in Sudan, la rete
di Osama bin Laden era entrata in possesso di uranio arricchito. Le dice
nulla?
"Sono coincidenze da tenere nel giusto
conto perché raccontano una porzione di verità. Per quel
che sappiamo, nessuno, oggi, è in grado di dire con certezza, dopo
la caduta di Mobutu, in Zaire, cosa ne sia stato di circa 8 chili di uranio
arricchito che gli Stati Uniti avevano regalato a quel regime agli inizi
degli anni '70 per condurre l'esperimento del reattore Mark II, all'interno
del piano "Atoms for peace". Una cosa dunque è certa. Non si può
guardare soltanto alla ex Unione Sovietica e ai suoi ex depositi di materiale
nucleare. Per quanto ne sappiamo, l'Africa è in una situazione ancora
peggiore".
Quanto costa una barra di uranio arricchito?
"Al mercato ufficiale, non più
di un centomila dollari, se ci arriva. Al mercato nero, invece, il suo
valore è sui due miliardi e mezzo. Una cifra che in assoluto può
sembrare elevata, ma che elevata non è se pensiamo alla ricchezza
dei potenziali acquirenti".
Lei pensa che le barre siano ancora in
Italia?
"A mio avviso per un certo periodo sono
rimaste sicuramente in Italia. Avevamo qualche traccia della loro presenza
qui a Roma. Sono stati fatti anche rilevamenti e in alcune zone vennero
registrate picchi anomali di radiazioni...".
Qui a Roma, dove?
"Non posso rispondere a questa domanda".
Ma sono ancora a Roma?
"Non ho motivi per pensare che non siano
più qui. Ma non ho neppure motivi per escludere che siano, per dir
così, altrove".