La Repubblica - DOMENICA, 18 NOVEMBRE 2001
Pagina 8 - Esteri - Dossier

Il Papa bersaglio di Al Qaeda
"Colpiranno entro Natale, vogliono il bis delle Torri"
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"Non è stato dato il giusto peso alle minacce lanciate dal mullah Omar"
L'allarme di Vincent Cannistraro, ex capo dell'antiterrorismo della Cia
I nuovi obiettivi dei terroristi
Non è la prima volta che il Pontefice è in pericolo. Già nel 1995 gli uomini legati allo sceicco avevano pensato di ucciderlo  Ma a rischio attentati ci sono anche i principali porti americani e le centrali nucleari.
Timori per attacchi contemporanei a più aerei
"Loro usano kamikaze, noi ancora non siamo pronti a contrastare questo nemico"
"L'attacco tra il 22 novembre e il 25 dicembre, un periodo per noi sacro"

CARLO BONINI

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ROMA — Vincent Cannistraro ha diretto la sezione antiterrorismo della Cia, ha lavorato al National Security Council, il Consiglio di sicurezza nazionale, è stato special intelligence advisor al Pentagono. All'indomani dell'11 settembre, è stato a lungo ascoltato dalle commissioni del Congresso. E' un americano gioviale con lontane radici italiane. A Langley si è fatto la fama di «pragmatico». Non ama girare in tondo alle questioni.

Dalla terrazza dell'hotel Eden, fissa Roma immersa in una luce di primaverile grazia, mentre sorseggia un Sauvignon Sanct Valentin: «Osama Bin Laden colpirà tra Thanksgiving e Natale, tra giovedì prossimo, 22 novembre, e il 25 dicembre. Non mi è mai piaciuto fare dell'allarmismo. Non sono il tipo. Ma mai come oggi sono sicuro di quel che dico».

Dove colpirà?

«Negli Stati Uniti. Ma potrebbe colpire anche qui, a Roma. Perché qui ha un bersaglio primario».

Quale?

«Il Papa».

Come fa a dirlo?

«L'esperienza di questi anni ci ha insegnato che Bin Laden non ha mai lasciato a metà un lavoro. Nel 1993 tentò di far saltare il World Trade Center. Il piano, pur causando delle vittime, di fatto fallì e l'11 settembre tutti sappiamo quel che è accaduto. Alla vigilia del nuovo millennio, il piano bojinka prevedeva di far saltare contemporaneamente Boeing americani in volo sul Pacifico. L'11 settembre abbiamo scoperto quanto radicata fosse l'ossessione di Osama sull'uso di jet commerciali per fini terroristici...».

E questo cosa c'entra con il Papa?

«Nel 1995, a Manila, nelle Filippine, Ramzi Youssef, uomo di Al Qaeda che aveva partecipato anche all'attentato alle Torri Gemelle nel 1993, si preparava ad uccidere il Papa in visita sull'isola. Nell'appartamentocovo in cui Youssef aveva alloggiato e da cui era riuscito a fuggire poco prima che la polizia filippina facesse irruzione, vennero sequestrate le mappe dell'itinerario che doveva seguire il Pontefice, paramenti sacri necessari al commando omicida per confondersi nella folla dei fedeli, dispositivi di controllo a distanza del timer che avrebbe innescato l'esplosivo destinato a polverizzare un ponte al passaggio dell'auto blindata su cui viaggiava il Papa. Giovanni Paolo II era un obiettivo allora e resta un obiettivo oggi. Giovanni Paolo II è il leader spirituale di quei crociati nei cui confronti Osama ha pronunciato nel '98 la sua fatwa».

Cosa rende oggi la minaccia più concreta?

«Quattro giorni fa, immediatamente dopo la caduta di Kabul, il mullah Omar ha rivolto dai microfoni della Bbc un avvertimento terribile. Ha promesso immani distruzioni negli Stati Uniti e violenze che sfuggono alla comprensione degli uomini. Queste parole non sono state forse sufficientemente analizzate. Ma mi si lasci dire da addetto ai lavori che in quella minaccia c'è non solo la disperazione di un leader che sente franare il terreno intorno a sé, ma anche la rivendicazione preventiva di un'escalation del terrore già pianificata».

Perché lei indica un lasso di tempo così preciso: 22 novembre, 25 dicembre?

«Perché le bombe alleate, le nostre bombe, non hanno smesso di cadere durante il Ramadan e Osama non avrà pietà o rispetto della festa sacra ai cristiani, il Natale. Perché Osama e il mullah Omar non si lasceranno prendere vivi prima di aver trascinato l'Occidente in un altro bagno di sangue».

Veniamo agli Stati Uniti. Lei dice che Osama tornerà a colpire. Dove? Come?

«L'attacco potrà venire ancora una volta dal cielo, ma anche dal mare. E mi spiego. Quando si dispone di kamikaze, si è risolto il principale problema di pianificazione di ogni atto terroristico: consentire agli autori di scomparire cancellando tracce e indizi, una volta portato a termine l'attacco. Oggi, ad Osama, sono sufficienti quattro, cinque kamikaze che si imbarchino contemporaneamente su Boeing commerciali e che ad un'ora stabilita si facciano simultaneamente esplodere in volo».

I controlli negli aeroporti sono stati rafforzati.

«Purtroppo non esiste ancora una routine che renda sicuri i voli al cento per cento. E' una terribile verità che tutti conoscono: compagnie aeree, enti di sicurezza, Fbi, Cia. Tutti sanno che, ad oggi, non più del dieci per cento dei bagagli caricati nelle stive degli aerei viene passato sotto macchine ai raggi x in grado di individuare esplosivi che normalmente sfuggono ai controlli standard. Oggi, il ragionamento che si fa è che se un passeggero sale a bordo con il proprio bagaglio regolarmente caricato nella stiva, quel passeggero e quel bagaglio sono sicuri. Ma, come ho detto, questo ragionamento cessa di essere valido se quel passeggero è un kamikaze, un martire».
Lei ha accennato anche a possibili attacchi via mare.

«Da tempo viene tenuta sotto stretta osservazione una società marittima yemenita che ha la sua flotta mercantile nel porto di Aden. Queste navi fanno la spola con entrambe le coste degli Stati Uniti e il timore è che possano trasformarsi in bombe galleggianti da far saltare nei porti di San Diego, San Francisco, Seattle o in quello di Newark, nel New Jersey».

Navi da far saltare con esplosivo convenzionale?

«Forse. E dico forse perché se è da escludere che Osama disponga di testate nucleari convenzionali è certo che è in possesso sia di valigette atomiche sovietiche, sia di uranio arricchito per la fabbricazione delle cosiddette dirty bombs, le bombe sporche. Ora, se a bordo di una nave o di un aereo fosse fatta esplodere una di queste bombe sporche, pagheremmo le conseguenze per decine e decine di anni».

Le centrali nucleari americane sono tra i possibili obiettivi?

«Naturalmente sì. E proprio per quel che stavo dicendo a proposito dell'uranio arricchito. Oggi, Osama ha un problema strategico: assestare un colpo che faccia impallidire quanto accaduto l'11 settembre. Dunque, un atto di distruzione di massa con conseguenze psicologiche ancor più dolorose. Un'esplosione nucleare "povera" prodotta da una bomba sporca, ovvero una reazione nucleare innescata dalla distruzione del reattore di una centrale raggiungerebbero esattamente lo scopo».

Si è sostenuto che già l'11 settembre dovesse essere colpita una centrale nucleare. Che l'aereo caduto in Pennsylvania non fosse diretto sulla Casa Bianca ma sull'impianto di Three Mile island, non lontano dal punto in cui il Boeing è precipitato.

«Conosco l'ipotesi ed è suggestiva. Personalmente, credo che il Boeing della Pennsylvania fosse destinato a schiantarsi su Capitol Hill a Washington, sulla cupola del Congresso. E comunque non lo sapremo mai. Del resto, quel che sappiamo mi sembra già sufficiente....O no?».