Il Resto del Carlino 04/01/2002
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Rimini 1965 cade l'atomica

Alle 7 e 2 minuti del 23 giugno 1965 Verona, Vicenza e Piacenza sarebbero state incenerite da tre bombe nucleari da 500 chilotoni ciascuna. E, in successione, la stessa sorte sarebbe capitata a Ghedi, Aviano e Rimini. Oggi si può parlare di fantapolitica o di un thriller scritto da una penna che ha seguito gli eventi del lungo braccio di ferro tra la Nato e il patto di Varsavia. Tuttavia negli anni della guerra fredda l'evento descritto era stato pianificato fin nei minimi dettagli: si trattava di una esercitazione nucleare a supporto dell'invasione dell'Italia, studiata dallo stato maggiore dell'Armata sud del patto di Varsavia, comandata dal generale sovietico Provalov.
I piani dell'attacco, che oltre all'Italia avrebbe coinvolto la Germania e l'Austria, sono stati ritrovati di recente negli archivi di Stato a Budapest. La capitale ungherese, infatti, era la sede del comando meridionale del patto di Varsavia e tra i più stretti collaboratori del generale Provalov c'erano anche alti ufficiali ungheresi.
L'importante rinvenimento dei documenti che descrivono nel dettaglio questa esercitazione sono stati rinvenuti dallo storico militare ungherese Imre Okvath, ricercatore del Centro studi sulla guerra fredda di Budapest. Ed è la prima volta che dall'Est (oggi l'Ungheria fa parte della Nato) arriva la conferma di un piano, così dettagliato, per l'invasione dell'Italia, passando dalla Baviera e dall'Austria, preceduto da attacchi di missili nucleari.
L'esercitazione del 1965 partiva dal presupposto di un attacco della Nato contro città ungheresi come Budapest, Miskolc, Szekesfehervar e altri centri. Per contrastare e prevenire il first strike (come nella terminologia Nato era definita la possibilità di sferrare il primo attacco nucleare quando fosse evidente la certezza che i sovietici stessero per fare la stessa cosa) il patto di Varsavia aveva progettato un'invasione di massa preceduta dal lancio di testate atomiche, che aveva come obiettivo il raggiungimento dal tredicesimo giornodi guerra di tutta la pianura Padana. L'invasione avrebbe impiegato decine di divisioni corazzate (un settore nel quale l'Urss aveva una supremazia con un rapporto di 8 a 1) lungo una linea che andava da Strasburgo a Bologna.
Per neutralizzare la capacità di reazione nucleare Nato, tra i bersagli c'erano le basi aeree più importanti in Italia: quelle dove erano immagazzinate le testate atomiche e che ospitavano gruppi di volo con capacità strike: in grado, cioè, di sferrare attacchi nucleari all'Est.
Uno di questi bersagli era sicuramente Rimini e il suo aeroporto sede del 5° stormo,che ospitava due gruppi di volo: il 23° caccia intercettori (oggi trasferito a Cervia) e il 102° caccia bombardieri ognitempo speciali. Che altro non erano se non 18 F-104G (successivamente 'S') con 22 piloti addestrati per colpire con le bombe atomiche B61 installazioni ungheresi. Dal 1992 il 102° gruppo è a Ghedi (oggi la base bresciana è l'unica in Italia equipaggiata con i Tornado per operazioni speciali) e Rimini ha dismesso da oltre un decennio questo ingombrante ruolo. La trentina di bombe B61 (le cui parti critiche, separate, erano custodite in bunker sotterranei della base e non nelle viscere di Coriano) sono tornate da anni negli Usa. E tutte le installazioni di supporto, controllate esclusivamente da personale Usa del 7401° Ammunition support squadron che dipendeva direttamente dal 40° Combat support squadron di Aviano, responsabile degli ordigni in Italia, sono state dismesse o trasferite. Era frequente, allora, veder girare per Rimini e dintorni automobili con la strana targa Afi (Allied forces Italy). Si trattava del personale addetto alla sicurezza degli ordigni, delle telecomunicazioni, dell'addestramento del nostro personale e incaricate di fornire supporto ai 'Phantom' e gli F-111 rischierati a Miramare.
di Marco Tavasani