Rimini 1965 cade l'atomica
Alle 7 e 2 minuti del 23 giugno 1965 Verona,
Vicenza e Piacenza sarebbero state incenerite da tre bombe nucleari da
500 chilotoni ciascuna. E, in successione, la stessa sorte sarebbe capitata
a Ghedi, Aviano e Rimini. Oggi si può parlare di fantapolitica o
di un thriller scritto da una penna che ha seguito gli eventi del lungo
braccio di ferro tra la Nato e il patto di Varsavia. Tuttavia negli anni
della guerra fredda l'evento descritto era stato pianificato fin nei minimi
dettagli: si trattava di una esercitazione nucleare a supporto dell'invasione
dell'Italia, studiata dallo stato maggiore dell'Armata sud del patto di
Varsavia, comandata dal generale sovietico Provalov.
I piani dell'attacco, che oltre all'Italia
avrebbe coinvolto la Germania e l'Austria, sono stati ritrovati di recente
negli archivi di Stato a Budapest. La capitale ungherese, infatti, era
la sede del comando meridionale del patto di Varsavia e tra i più
stretti collaboratori del generale Provalov c'erano anche alti ufficiali
ungheresi.
L'importante rinvenimento dei documenti
che descrivono nel dettaglio questa esercitazione sono stati rinvenuti
dallo storico militare ungherese Imre Okvath, ricercatore del Centro studi
sulla guerra fredda di Budapest. Ed è la prima volta che dall'Est
(oggi l'Ungheria fa parte della Nato) arriva la conferma di un piano, così
dettagliato, per l'invasione dell'Italia, passando dalla Baviera e dall'Austria,
preceduto da attacchi di missili nucleari.
L'esercitazione del 1965 partiva dal presupposto
di un attacco della Nato contro città ungheresi come Budapest, Miskolc,
Szekesfehervar e altri centri. Per contrastare e prevenire il first strike
(come nella terminologia Nato era definita la possibilità di sferrare
il primo attacco nucleare quando fosse evidente la certezza che i sovietici
stessero per fare la stessa cosa) il patto di Varsavia aveva progettato
un'invasione di massa preceduta dal lancio di testate atomiche, che aveva
come obiettivo il raggiungimento dal tredicesimo giornodi guerra di tutta
la pianura Padana. L'invasione avrebbe impiegato decine di divisioni corazzate
(un settore nel quale l'Urss aveva una supremazia con un rapporto di 8
a 1) lungo una linea che andava da Strasburgo a Bologna.
Per neutralizzare la capacità di
reazione nucleare Nato, tra i bersagli c'erano le basi aeree più
importanti in Italia: quelle dove erano immagazzinate le testate atomiche
e che ospitavano gruppi di volo con capacità strike: in grado, cioè,
di sferrare attacchi nucleari all'Est.
Uno di questi
bersagli era sicuramente Rimini e il suo aeroporto sede del 5° stormo,che
ospitava due gruppi di volo: il 23° caccia intercettori (oggi trasferito
a Cervia) e il 102° caccia bombardieri ognitempo speciali.
Che altro non erano se non 18 F-104G (successivamente 'S') con 22 piloti
addestrati per colpire con le bombe atomiche B61 installazioni ungheresi.
Dal 1992 il 102° gruppo è a Ghedi (oggi la base bresciana è
l'unica in Italia equipaggiata con i Tornado per operazioni speciali) e
Rimini ha dismesso da oltre un decennio questo ingombrante ruolo. La trentina
di bombe B61 (le cui parti critiche, separate, erano custodite in bunker
sotterranei della base e non nelle viscere di Coriano) sono tornate da
anni negli Usa. E tutte le installazioni di supporto, controllate esclusivamente
da personale Usa del 7401° Ammunition support squadron che dipendeva
direttamente dal 40° Combat support squadron di Aviano, responsabile
degli ordigni in Italia, sono state dismesse o trasferite. Era frequente,
allora, veder girare per Rimini e dintorni automobili con la strana targa
Afi (Allied forces Italy). Si trattava del personale addetto alla sicurezza
degli ordigni, delle telecomunicazioni, dell'addestramento del nostro personale
e incaricate di fornire supporto ai 'Phantom' e gli F-111 rischierati a
Miramare.
di Marco Tavasani