LE SCIENZE DICEMBRE
2001
http://www.lescienze.it/special.php3?id=4325
L’India, il Pakistan
e la Bomba
M. V. Ramana,
A. H. Nayyar
Il testo integrale di questo articolo
si trova sul numero di dicembre di "Le Scienze"
Non appena gli Stati Uniti hanno mobilitato
le forze armate in risposta agli attentati terroristici dell’11 settembre,
l’attenzione del mondo si è concentrata sul Pakistan, area cruciale
per le operazioni militari in Afghanistan. E quando il presidente Pervez
Musharraf ha garantito il suo sostegno alla forza multinazionale il pensiero
di molti deve essere corso nella stessa direzione: che ne sarà degli
armamenti nucleari pakistani? Potrebbero cadere nelle mani degli estremisti?
La rinnovata preoccupazione per la presenza
di armi atomiche nel Subcontinente indiano arriva a breve distanza dagli
eventi del maggio 1998: i cinque test nucleari condotti dall’India nel
poligono di Pokharan, seguiti tre settimane più tardi dai sei test
condotti dal Pakistan nella regione sud-occidentale del Chaghay. Un anno
dopo i test scoppiò una violenta schermaglia in merito all’occupazione
di un picco montuoso presso la città di Kargil. Il conflitto, durato
un paio di mesi, costò la vita a 1300 persone secondo fonti indiane
e 1750 secondo fonti pakistane. Per la prima volta dal 1971 l’India schierò
la sua aviazione per lanciare gli attacchi. In risposta, i caccia pakistani
furono tenuti a terra, per paura che potessero essere abbattuti. A Islamabad,
capitale del Pakistan, suonarono le sirene che avvisavano dei raid aerei.
Alti ufficiali di entrambi gli eserciti scatenarono almeno una dozzina
di allarmi nucleari. Alla fine, India e Pakistan giunsero a più
miti consigli. Ma la fine dello scontro di Kargil non segnava la fine del
confronto nucleare nel Subcontinente indiano. E ora che l’instabilità
politica del Pakistan assume i contorni di una prospettiva realistica,
il pericolo di un confronto con armi non convenzionali non è mai
stato così vicino.
Le risposte di India e Pakistan agli eventi
dell’11 settembre e all’attacco degli Stati Uniti all’Afghanistan riflettono
la competizione strategica che ha condizionato molta della loro storia.
L’India ha subito offerto basi e supporto logistico all’esercito americano.
Tentando di legare i loro problemi in Kashmir alla preoccupazione internazionale
per il terrorismo, i governanti indiani hanno anche minacciato di lanciare
un attacco alle linee di difesa pakistane, accusandole di essere basi di
addestramento per i terroristi kashmiri. Il Pakistan, comprendendo sia
il vantaggio geopolitico in cui si trovava sia i pericoli di instabilità
interna, ha deciso di offrire il suo sostegno alla guerra contro i taleban.
Le macchinazioni diplomatiche, la guerra in Afghanistan, e la violenza
in Kashmir hanno senz’altro peggiorato le prospettive di pace nel Subcontinente.
E anche la soppressione delle sanzioni statunitensi, imposte negli anni
novanta, ha liberato preziose risorse da investire in armamenti.
I limiti della politica occidentale di
non proliferazione sono ormai dolorosamente ovvi. I programmi nucleari
pakistani ne hanno rivelato l’inadeguatezza. Un’efficace strategia di non
proliferazione dovrebbe comportare anche azioni diplomatiche sul fronte
della domanda, volte a convincere i paesi che la bomba non è un
requisito per la sicurezza. La misura più importante è un
progresso verso il disarmo nucleare globale. Qualcuno obietta che il disarmo
non abbia alcuna relazione con la non proliferazione. Ma una simile premessa
è la più colossale illusione dell’era nucleare. E potrebbe
essere la più pericolosa.
© 1999 - 2001 Le Scienze S.p.A.