Davanti
alla guerra in casa del nuovo terrorismo, la grande America è impreparata.
E
sembra far poco o nulla per difendersi.
Apocalypse now? È
col titolo di quel famoso film che potremmo definire lo stato d'animo disorientato
che da qualche tempo predomina nell'opinione americana, al cospetto degli
attentati che hanno già colpito New York e Kansas City, e la cui
dinamica sembra presente anche nella misteriosa sciagura abbattutasi sull'aereo
della Twa: esploso, e inghiottito dall'oceano, in sinistra coincidenza
con l'apertura delle Olimpiadi ad Atlanta.
L'America non è come
l'Europa, da sempre abituata a perire e a rinascere sui crateri di vulcani
in perenne eruzione. L'America alla mercé degli agguati terroristici
si sente simile a un pachiderma scuoiato della propria corazza; un dinosauro
quasi ignudo, alla soglia di una nuova era geologica, goffo nei movimenti
difensivi, vulnerabile nella sua impacciata immensità che sembra
offrire un bersaglio facile, invitante, a ogni moderno mezzo distruttivo
di massa: plastico, nucleare, chimico, batteriologico. Il panico che da
alcuni anni assilla e perseguita il pachiderma è comprensibile.
Il terrorismo è una sorta di guerra dentro casa, e l'America, dal
1914 in poi, non ha mai affrontato una guerra in casa o alle porte di casa.
Essa, paradiso perenne del consumismo e dell'edonismo di massa, sempre
così lontana dagli orrori europei, è del tutto impreparata
a decifrare quella bibbia dei rischi contemporanei che Alain Minc pone
a testo fondamentale del «nuovo medioevo» in cui stiamo entrando.
Le guerre mondiali e regionali
di questo secolo i soldati americani le hanno fatte tutte fuori casa, combattendo
ben nutriti e ben equipaggiati, relativamente ben protetti, in Europa,
nell'Africa settentrionale, nel Pacifico asiatico, nel Vietnam, nel Kuwait.
C'è stato poi un
altro paradossale fattore storico che ha dato lunga garanzia di sicurezza
all'America e ai governi americani: la guerra fredda, ovvero la controllata
danza sull'abisso in compagnia col partner sovietico che non c'è
più. Il bipolarismo conflittuale instaurato allora era stato, alla
sua maniera, anche un congegno di duplice controllo esercitato dai maggiori
antagonisti, Stati Uniti e Unione Sovietica, sui rispettivi alleati, arsenali
atomici e servizi segreti. Ferree le regole del gioco, sostituivano le
odierne bibbie del rischio.
Perfino i terrorismi politicizzati
dell'epoca, l'Olp palestinese, le Br italiane, la Raf tedesca, erano per
diversi aspetti obbligati all'autocontrollo logistico e strategico; dovevano
rispettare le regole di una situazione internazionale bloccata, esimendosi
dal valicare determinati limiti. Non v'era spazio per le variabili indipendenti
del terrorismo selvaggio di oggi. Non v'era il pericolo, sempre meno latente,
di un terrorismo misticheggiante armato di bombole chimiche alla giapponese,
o di un terrorismo nucleare vagheggiato da stati fanatizzati come l'Iran
e l'Iraq. La guerra fredda assegnava all'America una minaccia unica, il
comunismo, senza altri rischi aggiuntivi; ora che quella minaccia è
scomparsa, i rischi sono esponenzialmente aumentati. La sorveglianza della
gendarmeria bipolare è finita. Il nuovo terrorista mistico, spesso
suicida, è privo di freni discriminanti, colpisce nel mucchio, si
brucia insieme con le vittime in un orgasmo di violenza fine a se stesso.
La novità del fenomeno,
più criminale che propriamente terroristico, pone l'America quasi
disarmata di fronte agli agguati che per la prima volta la prendono in
contropiede e ne minacciano l'incolumità dall'interno. I maggiori
responsabili dell'amministrazione clintoniana, come certi bambini terrorizzati
dal buio, rispondono al pericolo con la politica dello struzzo. I programmi
di prevenzione antiterroristica riscuotono scarsa attenzione e pochi dollari
da parte del Congresso, mentre qualsiasi pazzoide
può apprendere dall'Internet come usare micidiali ordigni nucleari
o biologici. Per non dir nulla della proliferazione atomica.
Essa è in pieno corso dopo la disintegrazione dell'Urss, che ha
messo all'asta laboratori, ogive, missili, minerali radiologici, strumentazioni
scientifiche e scienziati disoccupati. Stati bifidi, refrattari alla legalità,
interessati alla diffusione del terrorismo, Libia, Siria, Iraq, sono lanciati
in una febbrile corsa al nucleare che nessuno, nemmeno l'America, pensa
per ora di bloccare sul serio. Tante chiacchiere, ma pochi fatti. Al cospetto
di tutto ciò, l'insipienza americana fa paura agli stessi americani.
Jessica Stern, ex esperta del consiglio di sicurezza Usa, ha ammonito:
«Se dovesse capitare a New York un incidente simile a quello occorso
nel metrò di Tokyo uso su vasta scala di gas nervino con dodici
morti e migliaia di feriti molte vite andrebbero perdute a causa
dell'impreparazione del nostro governo». All'impreparazione si aggiungono
l'incompetenza scientifica, lo smarrimento psicologico, l'avarizia economica.
Infine, anche la scarsa volontà politica di neutralizzare le matrici
del terrorismo, colpendo gli stati che lo ospitano. «Fai da te»
continua a ripetere l'Internet agli apprendisti stregoni del terrore brado.
Al tempo stesso, l'America, che pur sapeva progettare e finanziare portentosi
scudi spaziali, dà oggi l'impressione di voler fare poco o nulla
per sé e per l'emisfero una volta inviolabile di Monroe.
26.07.1996
©
Arnoldo Mondadori Editore-1996
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