Quindici anni
dopo l'esplosione del reattore n. 4
Chernobyl: la
lobby nucleare ha vinto
Il reattore n. 4 della centrale nucleare
di Chernobyl è esploso il 26 aprile 1986. Bastarono poche ore di
incendio per rendere inabitabile per decenni un'area di circa 40mila km2,
per contaminare gravemente decine di milioni di persone, per spargere in
tutta l'Europa occidentale materiale radioattivo che ancora oggi provoca
problemi. Nei primi giorni la nube radioattiva fu spinta dai venti verso
la Russia e la Scandinavia (Finlandia, Norvegia e Svezia) spostandosi qualche
giorno più tardi verso il centro Europa (Cecoslovacchia, Austria,
Svizzera, Italia e Grecia) ma raggiungendo anche alcune regioni della Gran
Bretagna. L'esplosione di Chernobyl - senza alcun dubbio il più
grande disastro provocato dall'uomo, superiore anche al micidiale incendio
di Bhopal - ha mostrato il carattere globale dell'inquinamento provocato
dagli incidenti nucleari tanto che a 15 anni di distanza alcuni prodotti
alimentari sono ancora a rischio: i funghi (nel
1998 funghi radioattivi furono ritrovati anche in Friuli), la
carne di renna finlandese, la carne di montone inglese, i pesci provenienti
da alcuni laghi svedesi e norvegesi [1]. A rischio
rimangono anche grandi quantitativi di materiali ferrosi altamente radioattivi
che esportatori (e importatori) senza scrupoli cercano da anni di far arrivare
alle fabbriche dell'Europa occidentale.
Le autorità ucraine forniscono una stima delle vittime (dai 15 ai 30mila morti provocati dalla nube) e delle persone colpite dalle radiazioni (circa 3,5 milioni) [2]. Ma il disastro ha provocato danni ancora superiori. Il costo sopportato fra il 1986 e il 1999 dai tre maggiori Stati colpiti (Russia, Bielorussia e Ucraina) viene valutato in circa 26 miliardi di dollari. Le conseguenze del disastro assorbono circa il 20% del bilancio bielorusso e fino al 10% di quello ucraino. Circa 9 milioni sono le persone che abitano il territorio riconosciuto come contagiato dai tre stati (almeno 155mila km2). La Bielorussia ha subito circa il 70% delle ricadute radioattive, mentre in Ucraina è stata dichiarata "zona interdetta", totalmente evacuata, quella situata entro un raggio di 30 km dall'impianto di Chernobyl. Almeno 400mila persone sono state definitivamente trasferite. [3]
Un problema generalmente sconosciuto è
quello di coloro che furono incaricati di "liquidare" i danni all'impianto
nucleare. Nei giorni e nei mesi successivi al disastro circa 1 milione
di "liquidatori" furono inviati a Chernobyl; alcuni erano soldati, altri
riservisti, altri furono semplicemente prelevati da uffici e fabbriche
ed inviati in treno sul luogo dell'incidente. Si stima che 8-10mila di
essi siano morti nella solo Ucraina. In Estonia si calcola che almeno il
5% di questi giovani - di solito fra i 18 e i 30 anni - siano ora morti.
Poche di queste persone hanno capito che il compito affidatogli dai criminali
governanti sovietici (vi ricordate Gorbachov?) era quello di riattivare
i restanti tre reattori di Chernobyl. Oggi tutti i "liquidatori" sono stati
riconosciuti dai tre stati maggiormente colpiti come persone danneggiate
dalle esposizioni alle radiazioni. Ai sopravvissuti è stato rilasciato
un certificato che da loro il diritto ad un ricovero in ospedale o in sanatorio
di almeno 4-6 settimane ogni anno. [4]
L'Accademia Medica Militare Russa ritiene che le persone esposte siano state almeno 15.6 milioni. In Ucraina il 90% dei bambini nati dopo il disastro presenta grossi nodi linfatici. Sia in Bielorussia che in Ucraina è stato registrato un abnorme aumento dei cancri alla tiroide soprattutto fra bambini e adolescenti (circa 1800 casi sono stati imputati all'incidente) ma le autorità sanitarie internazionali, l'OMS e il Comitato scientifico dell'ONU, strettamente legati all'AIEA, l'Associazione Internazionale per l'Energia Atomica (controllata dagli americani e tradizionalmente favorevole allo sfruttamento dell'energia nucleare per fini civili), negano che questo legame sia scientificamente dimostrato.[5] È noto che durante il meeting organizzato dall'AIEA a Vienna nell'agosto 1986, gli esperti occidentali riuscirono a convincere la delegazione russa a ridurre di 10 volte la valutazione del rischio causato dall'incidente.
In effetti la lobby nucleare, che anche in Italia cerca di risollevare la testa specie dopo la crisi petrolifera, si è impegnata al massimo per minimizzare gli effetti del disastro nucleare. Uno dei suoi principali bersagli è l'Ufficio di coordinamento per gli affari umanitari dell'ONU (OCHA) che da tempo ha chiesto fondi per progetti di assistenza e di studio per le popolazioni più duramente colpite. Si tratta di modernizzare l'ospedale bielorusso di Gomel (una delle regioni più colpite dove, ad esempio, fra il 1985 e il 1990 si è registrato un aumento di 5 volte nel numero di tumori al cervello rispetto ai cinque anni precedenti), di seguire i "liquidatori" ucraini, di diagnosticare la tiroide a 500mila bambini russi, di studiare le malattie che hanno colpito i bambini delle persone esposte. Ma queste richieste sono cadute nel vuoto perché l'ONU non riesce a raccogliere i fondi necessari per questi progetti. La "comunità internazionale" rimane sorda agli appelli dell'OCHA. La lobby nucleare ha vinto.
Maurizio Zicanu
Note
[1] Si veda il dossier realizzato da Philippe Reakaewicz su "Le monde diplomatique", luglio 2000. Per i funghi radioattivi si veda l'allarme dell'oncologo Franco Nobile, apparso sulla stampa quotidiana il 9 gennaio 2001.
[2] "Il Sole-24 ore", 26 aprile 2000.
[3] Notizie tratte dall'articolo di Yves Marignac in "Le monde diplomatique" citato.
[4] Testimonianza di Rosalie Bertell, Università degli Studi di Toronto, in "Medicina democratica", n. 116/118, gennaio-giugno 1998.
[5] È questa la poco rassicurante conclusione della conferenza organizzata da OMS e AIEA nell'aprile 1996 in occasione dei dieci anni dall'incidente.